Non è un romanzo né un saggio scientifico ha invece la cifra del memoir in cui si intrecciano i grandi accadimenti collettivi e le vicende private. Così la storia di una grande famiglia della mitteleuropa – i cui membri attraversano l’Atlantico fino agli Stati Uniti o al Brasile o al di là del Mediterraneo per arrivare nella Palestina sotto mandato inglese o vagare nella fuga anche per l’Italia mentre alcuni giungono fino a Bagdad – si dipana tra racconti di valigie spedite da un capo all’altro del continente, di aziende vendute, comprate o arianizzate, di ricchezza e povertà, di barbe tagliate per sembrare meno ebrei. In barba a H (dove H sta per tre diversi aspiranti sterminatori di ebrei, Bompiani, pp. 360, euro 19) di Oliviero Stock – «niente a che vedere col liquore» – racconta di una storia vera e immaginifica, di eventi ricostruiti e di documenti raccolti con cura amorosa e pazienza certosina nel corso di decenni. «I fatti più salienti che racconto sono straordinari, frutto di decisioni coraggiose, soluzioni creative in un contesto drammatico, che hanno potuto trovare compimento solo grazie a un fato favorevole».

Di queste avventure ragiona Stock – scienziato che studia l’intelligenza artificiale: «Bisognava avere una certa disponibilità economica, che in genere comprendeva anche relazioni all’estero, magari parenti già emigrati, conoscenze, accesso a informazioni». Una famiglia che sembra lo stereotipo di certa letteratura è restituita invece in tutte le sue contraddizioni: gli amori non ricambiati, le posizioni raggiunte e perdute, gli affetti sospesi tra i confini. «Ci voleva creatività insieme ad una certa apertura ad accettare l’incognito, a correre rischi inevitabili e affrontarli con inventiva, tenendo conto del modo di ragionare del persecutore. Ma – Stock ci ritorna con lucida insistenza – ci voleva fortuna».

Il quadro storico in cui le vicende famigliari sono inserite consentono di comprendere l’evolversi, spesso fulmineo, degli eventi: il racconto minuto della normativa che cambia, famigliari salvatisi per aver anticipato di poche ore l’evolversi della storia. Il ritorno nei luoghi nei decenni successivi alla ricerca di persone, abitazioni e tracce che confermino i ricordi.

Ma questo intreccio serrato di fatti, documenti e vicende famigliari racconta anche del desiderio di consegnare al pubblico tanto il racconto di una vicenda fortunata quanto la necessità di dare conto del proprio diritto ad essere al mondo: come ed insieme ad altri che – nati dopo la Shoah – scrivono per ricostruire una storia che non abbia strappi, perché l’atto stesso di scrivere assolve al ruolo di rammendo sul tessuto stracciato dalle morti violente e dallo sterminio: Stock racconta della fortuna che ha concesso a lui, nato nel 1950, di nascere insieme al bisogno intimo, ma non privato, di ricostruire una genealogia degli affetti, dei luoghi, degli accadimenti per potersi voltare indietro e scorgere una vicenda che abbia un senso compiuto oltre la sensazione costante dello scampato pericolo.