La Francia striglia i militari al potere in Mali; il Mali caccia l’ambasciatore francese; l’Unione africana sospende fino a nuovo ordine (costituzionale) il Burkina Faso; in Burkina il processo Sankara che doveva riprendere ieri è a sua volta sospeso e lo resterà «finché non verrà restaurato l’ordine costituzionale». Intanto il paese vive con tutt’altra ansia la vista a sorpresa sulla finale della Coppa d’Africa di calcio, teoricamente possibile in caso di vittoria domani sul favorito Senegal.

Mali e Burkina, che condividono oltre 1300 km di confine e tanta cultura, vivono oggi anche l’analoga condizione di “reietti” della comunità internazionale. Oltre agli equilibri regionali i recenti e rispettivi golpe militari hanno scompaginato anche i rapporti con Parigi, ex potenza coloniale e alleata per diversi aspetti sempre più ingombrante nella lotta al jihadismo internazionale che affligge il Sahel.

Hanno fatto rumore ieri le 72 ore concesse dalla giunta all’ambasciatore di Francia, sua eccellenza Joël Meyer, per lasciare il Mali. Un’espulsione in piena regola, motivata dalle «osservazioni ostili» che il Quai d’Orsay è tornato a esternare «nonostante le proteste delle autorità maliane».

IL MINISTRO DEGLI ESTERI francese Jean Yves Le Drian aveva definito «illegittime» le autorità di transizione e bollato come »irresponsabile» la scelta di espellere 90 militari danesi inquadrati nella nuova forza militare multinazionale a guida francese, «Takuba», considerati «irregolari» dal governo di Bamako. Per questo ieri Le Drian nel «prendere nota» dell’ennesimo strappo ha espresso «solidarietà ai partner europei (quelli ora impegnati sul terreno nel difficile scacchiere saheliano, come l’Italia, ndr) e in particolare alla Danimarca».

Dopo un impegno militare profuso senza badare ai costi anche umani, il ricorso ai servizi «privati» dei mercenari Wagner, magari scambiati con qualche concessione mineraria da infilare nel portafoglio delle relazioni con la Russia, è un rospo troppo groppo da ingoiare per Parigi.

 

La festa dopo la vittoria ai rigori negli ottavi contro il Gabon (Ap)

 

Ieri in una Ouagadougou elettrizzata più che altro dalla vittoria sulla Tunisia della nazionale di calcio, gli inviati della Cedeao sono giunti puntualmente nel paese per verificare le (buone) condizioni di Roch Marc Christian Kaboré, il presidente deposto, ma anche per valutare sanzioni si presume simili a quelle piuttosto severe già imposte al Mali. La giunta guidata dal tenente-colonnello Sandaogo Damiba non si è fatta sorprendere e con l’abito buono ha letto in tv i 37 punti con cui il Mouvement patriotique pour la sauvegarde et la restauration (Mpsr) in sostanza si presenta, annunciando con l’occasione la «nomina immediata di un organo di transizione» e il «ritorno all’ordine costituzionale». Non viene specificato nessuna data circa la durata di questa fase. L’unica certezza è che a guidare il governo di transizione sarà lo stesso Damiba.

LA RASSICURAZIONE  sul rispetto delle libertà fondamentali e di tutte le garanzie costituzionali, inclusa l’indipendenza della magistratura, sembra una buona notizia anche per il processo Sankara, in corso nella capitale davanti a un tribunale militare. L’udienza di ieri era stata confermata insieme alla smentita della liberazione del generale Diendéré, uno dei principali imputati. Poi lo stop deciso dalla corte, dopo che anche gli avvocati di parte civile avevano espresso dubbi sulla regolarità e la credibilità di qualsiasi attività giudiziaria in questo momento. L’annuncio del Mpsr però ha sortito subito i suoi effetti: la nuova udienza è fissata per mercoledì 2 febbraio.

Errata Corrige

Sahel elettrico. La risposta di Bamako a Parigi, che era tornata a definire «illegittime» e »irresponsabili» le autorità di transizione. A Ouagadougou i militari con la Cedeao in casa annunciano il ritorno all’ordine costituzionale. E anche il processo Sankara può ripartire