Il Malecón, nello spazio chiuso ed esiziale di una trasformazione
Cultura

Il Malecón, nello spazio chiuso ed esiziale di una trasformazione

NARRAZIONI «Morte all'Avana», un romanzo di Rubén Gallo per la casa editrice Ventanas

Pubblicato 6 mesi faEdizione del 26 aprile 2024

Manuel Tomás Ricana, spagnolo nato a Orihuela nel 1955, in pieno regime franchista, come molti della sua generazione, aveva lasciato il suo paese da giovane per cercare fortuna altrove. In esilio in Svizzera, e senza avere nemmeno un diploma in tasca, aveva iniziato a vendere pesce in bicicletta e, lavorando sodo, nel giro di pochi anni aveva accumulato una fortuna tale da permettersi di tornare nella Spagna libera dalla dittatura e investire nel mattone. Manuel Tomás Ricana, quello a cui piacevano «gli uomini, gli uomini uomini, non le frocie», lo hanno trovato morto carbonizzato nei pressi dell’aeroporto di Cuba.

DI MANUEL, l’uomo dietro il personaggio, non rimane che un trafiletto sulla cronaca di Valencia che ne annuncia la morte nel 2014. Apparsa solo sul giornale cartaceo locale, la notizia non è stata diffusa sul web per espresso volere della famiglia. Il suo caso, irrisolto e forse irrisolvibile, è stato preso in prestito da Rubén Gallo, professore e scrittore messicano, per dare vita a un romanzo corale ed evocativamente letterario già dal titolo (Morte all’Avana, edito da Ventanas, con la traduzione di Laura Putti, pp. 220, euro 19) che cerca di fare giustizia a Manuel, quella giustizia che a lui è stata negata in terra. L’autore sceglie non di vendicare il suo personaggio, ma di raccontarne la storia per salvarla dalla rimozione e dall’oblio, e infine, per ridare un volto e una voce a quel corpo inerme e corrotto dalle fiamme appiccate dal suo assassino. E ciò non sarebbe stato possibile se Eliezer Jiménez, il profetico libraio custode di storie letterarie e non, e dunque anche quelle dei personaggi che ruotano intorno alla sua libreria (che nel romanzo diventa una moderna e indistruttibile Sodoma), non avesse scelto proprio Rubén Gallo per affidargli il racconto degli ultimi anni vissuti pericolosamente ma con sfrenata passione da Manuel.

Siamo nella prima decade del nuovo secolo, Raúl Castro ha sostituito il fratello nella posizione di presidente del Consiglio di Stato di Cuba, e il mondo non è ancora stato provato dall’arrivo della presidenza Trump e dalla pandemia di Covid-19. All’apice del successo finanziario Manuel, che nel frattempo si è prestato alla speculazione edilizia, decide di traferirsi a Cuba: un paradiso tropicale pieno di giovani uomini belli, machi nei modi, ma soprattutto disponibili a soddisfare le voglie degli yuma, gli attempati europei o nordamericani in cerca di emozioni forti. Manuel si lascia penetrare dai ragazzi di vita che popolano il Malecón, il celeberrimo lungomare di Cuba, e quasi con spirito scientifico e analitico ne registra forme e misure, fotografa i loro corpi e li cataloga.

ALLO STESSO MODO Rubén Gallo fotografa e cristallizza sulla pagina quel preciso periodo storico di Cuba che si sta affacciando alla globalizzazione, ma che conserva ancora in sé modelli culturali e sociali radicati e stratificati, e che non si è arresa all’omogenizzazione del linguaggio che inevitabilmente porterà con sé l’arrivo di internet, dei social network e dei telefonini con telecamera a buon mercato. Così il Malecón diventa un enorme palcoscenico dove salgono uno alla volta i pingueros, i giovani sex workers habaneros che calcano la suggestiva passeggiata marina della capitale cubana, per raccontare la loro storia, quella dei loro incontri occasionali e del loro rapporto con Manuel. Le loro performance identitarie, le loro narrazioni e il loro modo di parlare (a cui è contrapposto il linguaggio irreggimentato degli ispettori che indagano sul caso) sono il cuore pulsante del romanzo, ma anche un patrimonio immateriale da conservare e tramandare. Quella che appare come una cronaca di una morte annunciata (Eliezer più volte mette Manuel in guardia: «Per questo è venuto all’Avana, a morire, glielo dicevo, ti ammazzeranno, ti ammazzeranno, ma lui non mi dava retta») è in realtà una lunga e picaresca rincorsa verso uno stato di costanza, dove le pulsioni e le limitazioni imposte dall’esterno si risolvono e si annientano. Manuel va a Cuba per rivivere e far rivivere i fantasmi del passato: l’idealizzato modello dittatoriale della Spagna franchista e il desiderato soldato di leva incontrato in adolescenza che diventa modello delle fantasie erotiche da adulto. La sua spasmodica ricerca di piacere nostalgico – e pertanto non realizzabile in pieno – lo getta nelle braccia del suo futuro assassino.

OGNI RAPPORTO consumato così voracemente è una promessa di salvezza. «Il paradiso esiste e sta a Cuba», confida Manuel all’amico d’infanzia Jose. L’isola è per lui uno spazio chiuso e isolato che lo mette al riparo dal doversi confrontare con un mondo che sta cambiando e con la propria omofobia interiorizzata. Il paradiso, però, può esistere solo come un luogo altro, al di là del qui e ora. Quando anche Cuba esce dall’isolamento e si apre alla contaminazione, Manuel perde il proprio potere d’acquisto e di scambio. Un potere che però riacquista con un’uscita di scena degna del suo personaggio, diventando egli stesso il suo oggetto di piacere estremo e definitivo. Chi ha ucciso Manuel, quindi? Non un uomo solo, non solo un uomo.

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