Ci sono due fratelli, uno è bello,irruento, pieno di allegria, ricco. L’altro parla poco, è scontroso, insegna in una scuola media e si è separato dalla moglie per una storia «importante» con una sua collega (Jasmine Trinca). Sono pianeti distanti, delle reciproche vite non sanno nulla, il fratello ricco è gay e dichiarato anche con l’amata mamma – ma da piccolo gli piacevano le ragazze ripete lei – una scelta che l’altro fatica a comprendere. Poi succede che uno dei due si ammala, tumore terminale, e l’altro decide di occuparsene prendendo su di sé il carico del dolore senza dire nulla al fratello ammalato e al resto della famiglia. Non è niente, una ciste, una cosa seria ma non gravissima ripete per tranquillizzarli e loro non vogliono altro che crederci… Euforia comincia da una storia vera, l’esperienza vissuta da un amico di Valeria Golino che lo ha scritto insieme a Valia Santella e Francesca Marciano, ed è il ritorno dell’attrice come regista al Certain Regard dopo Miele, ancora una storia di dolore pure se da quel bell’esordio questo film è molto diverso, meno eccentrico, forse più «costruito» seguendo riferimenti narrativi maggiormente riconoscibili.

Anche stavolta il centro è una relazione, quella appunto dei due fratelli, Matteo (Riccardo Scamarcio) e Ettore (Valerio Mastrandrea) che il caso (triste) porta a confrontarsi nella vita permettendo a ciascuno di loro di conoscere qualcosa nelle reciproche realtà che corrisponde anche a un modo di essere al mondo.

Ettore vive ancora nel paesino fuori Roma dove i due sono nati, è schivo, Matteo si è trasferito a Roma, si occupa di arte soprattutto negli ambienti vaticani, mentre tutto succede sta preparando il mega evento per la giornata dell’Immacolata, e intanto cerca di convincere gli alti prelati a affidare il restauro del dipinto antichissimo della Madonna a una ditta di make up giapponese: Bellezza che promuove bellezza è lo slogan vicente. È solo, circondato da molti amici e amiche, qualcuna (Valentina Cervi) tristissima col cuore infranto da storie finite male, Matteo non ha amori, non duraturi almeno, qualche uomo con cui fa sesso, poi coca, sigarette, nottate in bianco, chirurgia estetica. Da qualche parte c’è la tristezza che l’intensa socialite dissimula.

Dice Golino: «Effettivamente Miele e Euforia sono due film speculari e opposti, però lo sono col senno di poi. Quando ho deciso di fare Euforia non pensavo a questo, non è stata una scelta ragionata né tematica. Quando ho mandato il copione al mio direttore della fotografia, Gergely Poharnok, che è ungherese e vive a Berlino, mi ha detto: ’La morte qui è superstar’. Ma oggi mentre il pianeta è preso da cose importanti e terribili le uniche cose che mi sento di raccontare drammaturgicamente sono quelle legate alle tematiche esistenziali e alla morte, che è la regina del nostro pensiero».

Golino nella sua dimensione esistenziale guarda alla commedia, a cominciare dall’opposizione quasi classica tra i due protagonisti che sostengono l’intero film. Come fare fronte all’imbarazzo del dolore specie al maschile, perché poi tra gli uomini manca la dimensione della confidenza del femminile, almeno dal punto di vista letterario? Gesti goffi, uno slancio di troppo. È possibile ritrovarsi da adulti? Euforia, il titolo, rimanda nelle parole della regista a quella «bella e pericolosa sensazione sperimentata dai subacquei nelle grandi profondità: un sentimento di assoluta felicità e di libertà totale». In fondo è (anche) una storia d’amore, non sempre riuscita, forse perché un po’ troppo ordinata, senza quei punti di fuga sbilenchi che davano il respiro a Miele. Ma la sua scommessa è proprio nella materia che affronta: il dolore e i rapporti, la capacità di guardare l’altro e di mettersi talvolta in gioco, quel miracolo che avviene fugace, magari davanti allo specchio o sotto un cielo azzurro. Il limite è sottilissimo e rischioso, lei sa muoversi con grazia, senza retorica né eccessi, assecondando la sua «euforia».