Per la terza volta in 14 anni il Dipartimento di Giustizia, Doj, e i procuratori di 16 stati, hanno citato in giudizio Apple, accusata di impedire alle società concorrenti di accedere alle funzionalità hardware e software di iPhone e Smart Watch, violando le leggi antitrust.La causa è stata depositata presso un tribunale federale del New Jersey e rappresenta il culmine della cosiddetta «indagine del secolo» avviata nel 2019, quando il dipartimento ha citato in giudizio Google e Alphabet per monopolizzazione del mercato. L’anno seguente un’indagine della sottocommissione giudiziaria della Camera ha poi stabilito che Apple, insieme a Google, Amazon e Meta esercitava «tipologie di monopoli» simili a quelli visti «all’era dei baroni del petrolio e dei magnati delle ferrovie», e che potevano essere considerate colpevoli «di aver ucciso la concorrenza acquisendo i competitor, e di aver privilegiato e sostenuto i loro servizi affossando quelli di soggetti terzi di più piccole dimensioni».

NEL 2020 il sottocomitato della Camera aveva raccomandato l’entrata in vigore di una nuova legge antitrust ma, visto che Apple a quei tempi era già impegnata in una causa antitrust con Epic Games (la casa di produzione di videogiochisviluppatrice di Fortnite e Gta), si era concentrato su Google, a sua volta accusato di monopolio nel mercato delle ricerche e della vendita degli spazi pubblicitari.

ORA PER IL DIPARTIMENTO di Giustiza è arrivato il momento di affrontare la società di Cupertino: l’accusa nei confronti Apple è di aver bloccato gli sviluppatori di software e le società di videogiochi dall’offrire opzioni migliori per l’iPhone, facendo alzare i prezzi e penalizzando così i consumatori.
Nelle accuse depositate viene dettagliato come Apple penalizza la concorrenza. «Oltre a degradare la qualità delle app di messaggistica di terze parti, Apple mina decisamente la (percezione della) qualità degli smartphone rivali. Ad esempio, se un utente iPhone invia un messaggio a un utente non iPhone nell’app di messaggistica predefinita , il testo appare all’utente iPhone come una bolla verde con funzionalità limitate: la conversazione non è crittografata, i video sono pixelati e gli utenti non possono modificare i messaggi inviati o vedere gli indicatori di digitazione. Ciò segnala agli utenti che gli smartphone rivali sono di qualità inferiore e che l’esperienza di inviare messaggi ad amici e familiari che non possiedono iPhone è peggiore anche se è Apple, e non lo smartphone rivale, ad essere la causa di tale esperienza degradata. Molti utenti non iPhone sperimentano anche una sorta di stigma sociale». «Questo effetto è particolarmente potente per alcuni gruppi demografici, come gli adolescenti, sei quali secondo un sondaggio l’85% usa iPhone. Questa pressione sociale rafforza i costi di cambiamento e spinge gli utenti a continuare ad acquistare iPhone, consolidando il dominio degli smartphone di Apple».

La replica della corporation non si è fatta attendere: «Riteniamo l’azione sbagliata» e «ci difenderemo». Secondo la società se la causa dovesse avere successo metterà «in pericolo la nostra capacità di produrre la tecnologia che la gente si aspetta da Apple. Potrebbe essere un precedente pericoloso che concede al governo il potere di esercitare un ruolo pesante nella progettazione».

IL PROCURATORE generale Merrick Garland è di tutt’altro parere, e durante la conferenza stampa seguita all’annuncio, alla provocazione di un giornalista che chiedeva perché il Doj voglia mettere in difficoltà delle società come Apple, Meta, Google così importanti per l’economia Usa, ha risposto che per l’anti trust le dimensioni dei capitali non sono un deterrente. Opponendosi così alla politica del dover proteggere a ogni costo chi è «troppo grande per fallire».