Ancora una volta la coalizione della destra illiberale al potere a Varsavia, guidata da Diritto e giustizia (Pis), vuole fare tutto da sé. La crisi migratoria in corso al confine con la Bielorussia è un affare di stato e come tale va gestito in proprio. Certo, all’indomani dell’emergenza il premier polacco Mateusz Morawiecki ne aveva parlato con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, prima di incontrare ieri quello del Consiglio Charles Michel. Le attestazioni di solidarietà incassate dal Pis hanno fatto sembrare per un attimo la Polonia meno isolata a Bruxelles, nonostante la contesa con l’Ue su stato di diritto e riforma della giustizia. Eppure, nei fatti il governo polacco non ha mai aperto agli aiuti Ue da Frontex. In modo non del tutto dissimile, il presidente polacco Andrzej Duda ha sentito al telefono il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, ma guai a chiedere aiuto all’organizzazione transatlantica, stranamente invocata invece dall’europeista di centro-destra Donald Tusk, predecessore di Michel a capo del Consiglio europeo.

Il Pis non vuole intromissioni dall’esterno, consapevole che finirebbe sotto il fuoco delle critiche per la politica indiscriminata di respingimenti al confine che va avanti da agosto. Il partito di Jaroslaw Kaczynski e i suoi alleati vogliono mostrare i muscoli ai propri elettori. E per questo che in una mossa annunciata ieri alla radio il ministro della Difesa polacco Mariusz Blaszczak ha spiegato che il numero dei soldati al confine passerà da 12mila a 15mila.

Ma il governo ostenta sicurezza anche a costo di stravolgere la realtà: «Ogni cittadino mediorientale disperso finisce in ospedale o in un centro per rifugiati. Se vuole rientrare nel paese di provenienza può farlo. Noi soccorriamo e non lasciamo morire le persone», ha dichiarato Morawiecki in una seduta straordinaria del Sejm, la camera bassa del Parlamento polacco.

Altro che operazioni di salvataggio e voli di rimpatrio, la rete di ong «Grupa Granica» continua a denunciare le morti dei migranti nel limbo al confine tra Bielorussia e Polonia. Ma dopo la crisi di lunedì che aveva come epicentro il checkpoint di Kuznica, il quadro potrebbe essere molto più drammatico. Tra i sopravvissuti ci sono anche casi di cittadini crudelmente rimandati avanti e indietro più volte dalle guardie di frontiera dei due paesi. Ma il Pis non vuole ingerenze, neanche in patria. E non stiamo parlando soltanto dei media, ai quali continua a essere impedito di raccontare la crisi umanitaria in virtù dello stato di emergenza in vigore da settembre scorso.

Anche i partiti all’opposizione non sono coinvolti nella gestione della situazione, nonostante i richiami di facciata all’unita nazionale. «Una frontiera sicura è una frontiera in cui nessuno ci rimette la vita», ha commentato Paulina Matysiak, deputata di «Lewica Razem» (Sinistra Insieme). Che il Pis stia cavalcando le tendenze xenofobe al confine ma anche all’interno del paese, lo dimostra la decisione di imporre dall’alto lo svolgimento oggi del Marsz Niepodleglosci. Il corteo dell’indipedenza dell’11 novembre è un raduno chiave ogni anno per gli attivisti di tutta l’estrema destra europea. Quest’anno il sindaco liberale di Varsavia Rafal Trzaskowski lo aveva vietato ma il governo lo ha scavalcato decidendo di farne un «evento a carattere statale».