Da questa domenica il Burkina Faso ha ufficialmente un nuovo uomo forte alla guida del paese: il capitano Ibrahim Traoré. A 34 anni il capitaine (come viene chiamato dai media) è sostenuto dalla maggioranza dei giovani ufficiali golpisti anche perché da diversi anni è impegnato nella lotta al jihadismo in numerose missioni di sicurezza, ed è salito di grado, secondo quanto riporta LeFaso, «non dopo aver studiato alla scuola militare francese Prytanée, come il suo predecessore Damiba, ma per meriti sul campo».

L’ex presidente ad interim, il tenente colonnello Paul-Henri Damiba, ha accettato di dimettersi dopo una lunga trattativa tra sabato e domenica e ha firmato la sua lettera di dimissioni – nella tarda serata di ieri ha trovato ospitalità a Lomé in Togo – dopo che alcuni leader delle comunità religiose e della società civile hanno mediato per evitare un nuovo conflitto fratricida tra i due schieramenti militari.

Damiba ha posto sette condizioni, tutte accettate dall’attuale giunta, per le sue dimissioni: il proseguimento delle operazioni militari sul campo insieme a una riorganizzazione generale delle forze di sicurezza, la continuazione del percorso di riconciliazione nazionale e delle scadenze concordate con la Comunità Economica dell’Africa Occidentale (Cedeao), ma soprattutto l’incolumità per i soldati che gli erano rimasti fedeli.

Dopo la notizia delle dimissioni di Damiba, Traoré si è recato domenica pomeriggio, in un primo bagno di folla che lo ha acclamato lungo tutto il tragitto, nel quartiere della capitale Ouaga2000 dove ha incontrato tutti i funzionari dei diversi ministeri per indicare le priorità della nuova giunta militare.

«Bisogna cambiare ritmo perché in Burkina Faso in questo momento tutto è urgente: dalla sicurezza alla difesa, alla salute, all’azione sociale, alle infrastrutture, tutto quello che ci aveva spinto a rovesciare Kaboré insieme a Damiba, ma che non è avvenuto in questo nove mesi – ha indicato Traoré su Radio France International (Rfi) – Il primo passo che faremo sarà la nomina di un presidente ad interim, civile o militare, eletto dal comitato di Transizione nazionale».

Molti dubbi al momento riguardano il coinvolgimento della Francia e della Russia nel nuovo golpe. «Il tenente colonnello Paul-Henri Damiba si sarebbe rifugiato all’interno della base francese, a Kamboisin per pianificare una controffensiva (…) Ciò fa seguito al nostro fermo desiderio di rivolgerci ad altri partner pronti ad aiutarci nella lotta al terrorismo», aveva spiegato alla televisione nazionale sabato il sottotenente Jean-Baptiste Kabré, portavoce dei golpisti.

La Russia non è menzionata per nome, ma il messaggio sembra chiaro. Da venerdì le bandiere russe sono state sventolate alle manifestazioni a sostegno dei golpisti e diversi social network filorussi hanno commentato gli eventi con forti slogan antifrancesi.

A poco è servita la smentita di Parigi, che per voce del ministero degli esteri ha assicurato di «non essere coinvolta negli affari interni del paese e di non aver protetto Damiba», visto che l’ambasciata francese a Ouagadougou e l’Istituto francese di Bobo-Dioulasso sono stati presi di mira dai manifestanti.

La situazione politica sembra risolversi dopo la fuga di Damiba e il sostegno dello stato maggiore burkinabé, con i soldati golpisti che hanno annunciato «la revoca del coprifuoco e l’apertura dei confini». Altrettanto importante, in un’ottica di ripresa delle relazioni con i partner internazionali e delle sollecitazioni della Cedeao, è l’annuncio «della collaborazione militare con tutti i partner presenti nel paese (Francia, ndr) e con altri nuovi partner per contrastare l’ascesa jihadista (Russia, ndr)».

Il colonnello Damiba era salito al potere a gennaio con un colpo di stato che aveva rovesciato il presidente Roch Marc Kaboré, accusato di inefficacia nella lotta alla violenza jihadista. Ma negli ultimi mesi gli attacchi che hanno colpito decine di civili e soldati si sono moltiplicati nel nord e nell’est del Burkina Faso, dove numerose città sono oggetto di un blocco da parte dei jihadisti, con oltre il 40% del territorio sotto il controllo dei gruppi jihadisti presenti legati allo Stato Islamico e ad Al-Qaeda.