«Erano i giorni migliori, erano i giorni peggiori, era un’epoca di saggezza, era un’epoca di follia, era tempo di fede, era tempo di incredulità, era una stagione di luce, era una stagione buia, era la primavera della speranza, era l’inverno della disperazione, ogni futuro era di fronte a noi, e futuro non avevamo», scriveva Charles Dickens e forse questo è l’unico modo per descrivere la situazione di questi giorni in Kenya che si può spiegare solo con i superlativi. Eccesso di politica, eccesso di potere, eccesso di speranza di cambiamento.

DOPO LA TERZA manifestazione contro la contestata legge finanziaria 2024 i dimostranti della GenZ hanno assaltato il parlamento, diversi uffici di deputati e senatori in tutto il paese, nonché sedi istituzionali nelle diverse regioni collegate al partito del presidente William Ruto. L’Assemblea nazionale ha autorizzato il dispiegamento dell’esercito e dopo il discorso alla nazione del presidente si temeva un ulteriore aggravamento della situazione.

Ruto aveva dichiarato che le proteste «legittime» sono state «dirottate da un gruppo di criminali organizzati» e che il governo avrebbe usato «tutti i mezzi a sua disposizione per impedire il ripetersi della violenza a qualunque costo». Ha sostenuto che le nuove tasse sono essenziali per controllare il debito del Kenya: oltre 80 miliardi di dollari che costano al paese più della metà delle sue entrate fiscali annuali.

Da bravo scolaro ha eseguito i compiti alla lettera (premiato con l’invito al G7 di giugno e al vertice Italia-Africa dello scorso febbraio sul Piano Mattei) considerando che per controllare le finanze statali era preferibile aumentare la pressione fiscale rispetto al taglio dei servizi pubblici dimenticando la terza via: tassare i ceti più abbienti, ridurre la corruzione, razionalizzare gli sprechi.

Poi in un secondo discorso alla nazione, ieri pomeriggio, Ruto ha dichiarato che non firmerà la finanziaria votata dal Parlamento: «Ascoltando con attenzione il popolo del Kenya, che ha detto ad alta voce che non vuole avere nulla a che fare con questa legge finanziaria, lo concedo e quindi non firmerò la legge che sarà ritirata. Gestisco un governo, ma guido anche il popolo, e il popolo ha parlato».

Ha poi precisato: «È importante che la gente sappia che per ogni 100 scellini che raccogliamo come tasse ne spendiamo 61 per il debito. Abbiamo pagato l’ultima rata del debito Eurobond preso in prestito nel 2014, per due miliardi di dollari, che ci pendeva sul collo. Oggi il peso del debito del Kenya è molto inferiore, più sostenibile e siamo sulla buona strada per riscattare il nostro paese dal disagio del debito e affermare la nostra sovranità».

LA DECISIONE è la conseguenza diretta della forza dimostrata dai giovani, delle pressioni internazionali e delle chiese. In mattinata la Conferenza dei vescovi cattolici del Kenya aveva lanciato un appello al presidente invitandolo a «non firmare questa legge e dialogare con i giovani» perché «se approvata nella sua forma attuale, sarà oppressiva e causerà indicibili sofferenze tra i keniani».

I vescovi hanno riconosciuto la necessità del governo di generare entrate per finanziare i servizi pubblici e hanno espresso la loro preoccupazione per la corruzione in corso e la cattiva gestione delle risorse pubbliche. Su fronte delle conseguenze della protesta la Commissione nazionale keniana per i diritti umani ha reso noto che i morti in seguito alla manifestazione sono 22.

Il discorso di Ruto dovrebbe scongiurare ulteriori disordini, ma resta aperta la questione del rapporto debito/Pil e il trade off tra le richieste dei cittadini e le indicazioni dei finanziatori internazionali che spingono il governo a un taglio del deficit per accedere a maggiori finanziamenti. Per la GenZ la protesta non finisce: #tupatanethursday, ritorniamo giovedì. L’obiettivo è occupare la residenza del presidente e le sedi della Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale.