Il titolo, Viens, je t’emmène, rimanda a una vecchia canzone di France Gall che nella traduzione italiana – L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice – si perde del tutto. Peccato perché in quel «Vieni, ti porto» c’è molto del sentimento che circola nel nuovo film di Alain Guiraudie, fra i registi fuoriclasse d’oltralpe e non solo per la sua capacità di inventare universi e forme politiche e poetiche indocili alle convenzioni in qualunque ambito queste tentino di imporsi: vita quotidiana, amore, relazioni, etichette con cui definire il movimento dei vissuti. Per questo magnifico regista, comunista, omosessuale è sempre questione di desiderio anche quando come qui (e come adesso nella realtà) il mondo sembra collassare in una guerra. È un punto fermo e semplice nei suoi film, e perciò rivoluzionario: un desiderio quello di cui parla che non si lascia sottomettere ai controlli e alle regole, che sfugge, si sottrae, prova a inventare altre narrazioni e a capovolgere i significati. Regista «renoiriano» lo definisce la critica in Francia: possibile, e questa è allora la sua Regola del gioco – del resto per sua ammissione.
Siamo nella provincia francese, a Clermont- Ferrand, per la prima volta in uno spazio urbano visto che i mondi di Guiraudie si configurano sempre nella natura, in cui si concentrano le fratture del contemporaneo. Che riguardano la società in Francia e più in generale il nostro presente, la sua percezione e il modo di rappresentarlo. Un runner di destra e razzista nella prima sequenza si innamora di una prostituta non più giovanissima con le labbra rosso acceso – sublime Noemie Lvovksy – e inizia a corteggiarla. L’uomo si definisce «contro la prostituzione» perché non è giusto «comprare» i corpi altrui, ma lei gli piace troppo, e per questo le promette di farle cose che gli altri clienti non le hanno fatto mai. La donna si chiama Isadora, l’albergo in cui si danno appuntamento Hotel France, segni neppure troppo celati per dirci a cosa si allude in questa «città nera e cuore della Francia» – definizione dello stesso Guiraudie. Isadora ha un marito, che la controlla, gelosissimo delle sue frequentazioni anche se professionali, poi c’è un ragazzo maghrebino, Mederic, che piomba nella vita del runner e che tutti inseguono pensando sia lui il responsabile dell’attentato, ai piedi della statua di Vercingetorige, che ha sconvolto la città.

L’ESTERNO si trasferisce dentro al condominio del runner, un microcosmo attraversato dal panico sociale, dal terrorismo, dalla sessualità. La Francia oggi, appunto. E il nostro tempo di razzismi, pregiudizi, barriere, controlli, sistemi di sicurezza sempre più elevati. Guiraudie guarda anche al suo romanzo, Rabelaire, uscito nello stesso anno del film – che è stato presentato alla scorsa Berlinale – per comporre la sua commedia umana nella quale sembrano concentrarsi i diversi possibili tipi sociali di oggi, quei riferimenti utilizzati per una storia al presente, dai quali lo spettatore si sente persino messo in tranquillità. Ma non è questa l’intenzione di Guiraudie, anzi, forse è piuttosto il contrario – come già in altri film, pensiamo al noir di Lo sconosciuto del lago in cui nel luogo circoscritto di un laghetto di appuntamenti e rimorchi gay pian piano si afferma una idea (e una rappresentazione) della violenza nei rapporti, degli stereotipi narrativi. Anche qui, in quel ristretto stabile, c’ è il costante tentatativo di rovesciare il senso guardando dietro e dentro le paure, polverizzandoi luoghi comuni che fondano una possibile «istantanea» del presente. È che per dare ai personaggi una qualche verità, è necessario un momento inatteso, un gesto che sfugge a ciò che ci aspettiamo.
Eccolo allora quel «Vieni, ti porto» quasi a suggerire una possibile via di fuga, che è quella del reale o dell’immaginario – poco importa. Il regista nell’affrontarli si mette in gioco e rischia sempre, lo fa seguendo alcune convinzioni a cominciare da quella di un cinema che è un luogo libero, indipendente (e non si tratta solo di soldi), nel suo mettere in scena il corpo a corpo con i tempi. Cogliendone i punti laddove è ancora possibile lasciarsi sorprendere.