Se il partito nazionalista religioso Yamina accetterà di far parte di un governo guidato dal Likud, Benyamin Netanyahu avrà i 61-62 seggi necessari per formare una nuova maggioranza di destra (estrema) e mettere fine allo stallo politico che paralizza Israele dal 2018. Così indicavano tutti gli exit poll diffusi ieri sera alle 22 alla chiusura della consultazione elettorale, la quarta in due anni.  Il campo anti-Netanyahu avrebbe 59 seggi, quello che fa riferimento al premier, 54. Con i suoi sette seggi Yamina è l’ago della bilancia ma il suo leader, Naftali Bennett, un falco, è ideologicamente più vicino a Netanyahu che al suo principale avversario, il centrista Yair Lapid (Yesh Atid). Della nuova Knesset farà parte anche la lista Sionisti Religiosi (6-7 seggi) che include Otzma Yehudit erede del partito razzista di estrema destra Kach. Sempre secondo gli exit poll due partiti destinati a sparire – Blu Bianco di Benny Gantz e il Meretz (sinistra sionista) – avrebbero ottenuto abbastanza voti per entrare in parlamento. Otto sarebbero i seggi conquistati dalla Mustarake, Lista unita araba, data per spacciata nel tardo pomeriggio a causa della bassa affluenza nei centri arabi.

Gli esiti degli exit poll sono stati presi con le molle più che nelle precedenti tre consultazioni, specie per il risultato dei partiti più piccoli posizionati a cavallo della soglia di sbarramento. A causa della pandemia le autorità israeliane hanno dovuto allestire centinaia di seggi elettorali speciali per i contagiati, i malati di Covid e per coloro che sono in quarantena. Circa un decimo dei sei milioni e mezzo di elettori non erano chiamati a votare nei seggi abituali ma in quelli a distanza («doppia busta»). Gli exit poll potrebbero essere meno affidabili in questa occasione anche se i sondaggisti nei giorni scorsi rassicuravano pubblico e media. Si attende lo spoglio effettivo delle schede. Il risultato ufficiale del voto sarà comunicato nel fine settimana.

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Le conseguenze della bassa affluenza alle urne sono state il tema centrale della giornata. La più significativa, non solo dal punto di vista politico, si è avuta per palestinesi con cittadinanza israeliana. Delusi dalle profonde fratture nella Lista unita araba sfociate nell’uscita degli islamisti di Raam, demotivati dal peso nullo delle formazioni arabe nella vita politica nazionale, attirati dalle promesse dei partiti sionisti, immemori della legge che definisce Israele-Stato della nazione ebraica e non di tutti i suoi cittadini, gli elettori arabo israeliani hanno disertato le urne. Ha fallito Mansour Abbas, leader di Raam, che ieri con spavalderia ribadiva di «non avere preclusioni» e di essere pronto a collaborare con qualsiasi premier israeliano «disposto a risolvere i problemi della minoranza araba». In realtà si  riferiva solo a Netanyahu con il quale ha avviato nei mesi scorsi un inedito dialogo politico. Il voto ha punito la sua scelta.

«Speriamo sia l’ultima tornata elettorale. Non restate a casa, andate a votare», ha ripetuto per tutto il giorno anche Netanyahu che,

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dopo aver pregato al Muro del Pianto a Gerusalemme, si è esibito in rapide apparizioni su Facebook e TikTok. Ha anche telefonato a sindaci e attivisti in tutto il paese per esortarli a fare di più perché, a suo dire, i sostenitori dei suoi rivali stavano andando alle urne in gran numero a differenza dei simpatizzanti del suo partito. Nelle elezioni del 2015 usò termini ben più crudi per sollecitare gli elettori ebrei per contrastare la partecipazione al voto dei cittadini arabi. Ma la «Vaccination Nation», l’etichetta che il premier di destra ha coniato per sottolineare il successo della campagna vaccinale promossa dal suo governo, alle urne per la quarta volta in due anni non aveva proprio voglia di andarci. Tra i timori per il virus, il desiderio di stare all’aperto, di andare al ristorante e in spiaggia dopo mesi di chiusure – secondo l’ultranazionalista Bezalel Smotrich, anche per le «pulizie di casa» in vista dell’imminente Pasqua ebraica – una fetta significativa degli oltre 6 milioni e mezzo di elettori ha preferito disertare il voto.

«È il momento della verità – ha esortato Yair Lapid nella speranza di scuotere gli elettori – ci sono solo due opzioni: o un governo di Yesh Atid o un governo oscurantista, pericoloso, razzista e omofobo che prenderà i soldi da chi lavora per darli a chi non lavora». Ma Netanyahu, al quale si riferiva, con ogni probabilità resterà al posto che occupa ininterrottamente dal 2009 confermandosi il premier più longevo della storia di Israele.

In serata da Gaza hanno lanciato un razzo – è caduto in aperta campagna – in direzione di Bersheeva proprio durante la visita di Netanyahu.