La discussione sull’eventualità che la Palestina diventi membro a pieno titolo dell’Onu è stata anticipata a ieri dopo le pressioni della Lega araba, ma non è cambiato nulla. Al momento in cui questo pezzo è andato in stampa al Palazzo di vetro di New York non si era ancora svolta la votazione ma Gran Bretagna e Usa si sono già detti contrari alla risoluzione.

IL VOTO ERA inizialmente previsto per oggi, ma i membri della Lega araba (tra cui l’Autorità nazionale palestinese) avevano protestato per l’eccessivo ritardo nella discussione della mozione presentata dalla delegazione algerina che chiedeva l’ammissione dello «Stato di Palestina come membro dell’Onu». Attualmente la Palestina non gode del pieno status di membro ma solo di quello di «osservatore non membro».

Per approvare la risoluzione al Consiglio di Sicurezza e poi sottometterla al voto dell’Assemblea generale sono necessari almeno nove voti a favore sui 15 e nessun veto da parte dei membri permanenti, ovvero Stati uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina. In seguito, nel voto alla plenaria, la risoluzione ha bisogno dei 2/3 dei sostegni. Dei 193 stati membri dell’Onu, già 139 riconoscono ufficialmente l’esistenza di uno stato palestinese.

Nel lungo pomeriggio di discussioni si è parlato parallelamente della «questione palestinese» legata alla guerra in corso a Gaza e dell’escalation tra Iran e Israele. La maggioranza degli interventi, tranne quelli dei diretti interessati, hanno invitato Teheran e Tel Aviv a non accentuare il clima di forte tensione già presente in Medio Oriente e ricordato la grave crisi umanitaria a Gaza biasimando il massacro di civili tuttora in corso e l’eventualità di una nuova offensiva israeliana su Rafah.

Totalmente sordo alle richieste di rasserenamento degli animi, l’ambasciatore dell’Iran ha ammonito Israele: niente più attacchi o Tel Aviv lo rimpiangerà. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, è stato il più esplicito: «È ora di finirla: la comunità internazionale deve lavorare unita per impedire qualsiasi atto che possa portare tutto il Medio Oriente al bordo dell’abisso, con un impatto devastante sulla popolazione civile» e ha poi invocato la fine del «sanguinoso ciclo di rappresaglie» fra Israele e Iran.

Parlando di Gaza, Guterres ha accusato Israele di aver creato un «paesaggio umanitario infernale» per i civili in seguito all’operazione militare. Inoltre, ha puntato il dito contro Tel Aviv accusandolo di non fare abbastanza per facilitare l’ingresso di aiuti umanitari in misura sufficiente a prevenire una carestia.

SULLA RISOLUZIONE di ieri, gli Stati uniti sono più volte stati accusati di aver tentato di rimandare il voto e di effettuare pressioni sugli altri paesi affinché votassero contro la risoluzione. Robert Wood, vice ambasciatore degli Usa presso l’Onu è intervenuto: «Non si tratta di fare pressione su nessuno…ma di quale pensi sia il modo migliore per arrivare a una soluzione a due Stati. E la nostra opinione è che avere questo voto in questo momento non porta a questo risultato». Sulla stessa lunghezza d’onda la Gran Bretagna che, pur auspicando una «soluzione a due stati», ha dichiarato tramite la sua rappresentante, Barbara Woodward, di non ritenere questo il momento adatto. «Sarebbe prematuro – ha detto – prima della fine delle ostilità».

Di avviso completamente opposto Ziad Abi Amr, il rappresentante palestinese, secondo il quale il riconoscimento della Palestina come membro ufficiale è «un pilastro importante per raggiungere la pace perché il conflitto israelo-palestinese ora va oltre il confine tra Palestina e Israele e ha un impatto su altre aree del Medio Oriente e del mondo».