È morto all’ospedale Sant’Orsola di Bologna – non in carcere,  è l’unica nota consolatoria di una brutta notizia purtroppo attesa – ed è il primo, un detenuto positivo al Coronavirus. Secondo le stime della Uilpa, il sindacato di polizia penitenziaria che ha divulgato la notizia ieri, «è solo l’inizio». Secondo il segretario nazionale Gennarino De Fazio, che accusa il Dap di «oscurantismo sui dati reali», il virus «sta già dilagando nelle carceri».

SICILIANO DI 76 ANNI, accusato di associazione mafiosa, il detenuto morto a Bologna, V. S., dal 2018 su ordine del Gip di Termini Imerese era sottoposto a misura cautelare in attesa di primo giudizio, e da alcuni mesi era nel circuito ad alta sicurezza del Dozza. Sei giorni fa il tribunale siciliano gli aveva concesso i domiciliari in ospedale, dove era stato ricoverato per altre patologie il 26 marzo, molto probabilmente anche per evitare il piantonamento. Nel carcere bolognese, dove secondo i dati ufficiali sono stati trovati positivi altri due detenuti e un agente, e molti sono in isolamento, sarebbero stati eseguiti «150 tamponi, 92 su detenuti e 58 su poliziotti».

Finora sono morti per il Covid 19 anche due agenti penitenziari ma, riferisce De Fazio intervistato dal manifesto, «secondo le nostre stime tra i poliziotti ce ne sono almeno 200 positivi accertati in tutta Italia, e quasi il triplo in isolamento fiduciario». Questa volta il decesso è avvenuto in ospedale, «speriamo non capiti mai in carcere perché allora sarebbe davvero messa a rischio la tenuta stessa degli istituti», fa notare il sindacalista. «Secondo l’art.87 del “Cura Italia” – prosegue – potremmo essere dispensati dal servizio se solo fossimo venuti a contatto anche indirettamente con un paziente Covid. Eppure sono tutti al lavoro: il corpo di polizia penitenziaria sta dando prova di grande responsabilità e abnegazione».

Ma il problema è di tutti, avverte De Fazio: «Temiamo che proprio dal carcere, dove il virus è arrivato in differita, possa verificarsi un contagio di ritorno sul territorio italiano, una volta che saremo usciti dall’emergenza». In questo momento tragico, chiarisce il segretario Uilpa, «nessuno vuole strumentalizzare l’accaduto». Le carceri sono in perenne emergenza da decenni, ammette elencando le ben note problematiche: «Sovraffollamento in primis, debolezza dei modelli organizzativi, sanità a pezzi, personale sotto organico, offerta rieducativa carente».

Eppure, aggiunge, «non possiamo esimerci dal ritenere incompetenti e assolutamente inadatti a fronteggiare la situazione gli attuali ministro di Giustizia, Alfonso Bonafede, e il capo del Dipartimento di Amministrazione penitenziaria, Francesco Basentini. In un altro momento avremmo chiesto la loro rimozione. Non lo facciamo per senso di responsabilità, ma chiediamo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di assumere pro-tempore, almeno sino al perdurare dell’emergenza sanitaria, la gestione diretta delle carceri. Perché – conclude De Fazio – indugiare ancora potrebbe determinare l’irreparabile».

A CHIEDERE DI INTERVENIRE subito sono in tanti. L’associazione Antigone che, come i Radicali italiani, indica la via nell’ampliamento delle misure contenute nel “Cura Italia”, stima: «Sappiamo che il 67% dei detenuti ha almeno una patologia sanitaria. Di questi l’11,5% era affetto da malattie infettive e parassitarie, l’11,4% da malattie del sistema cardio-circolatorio, il 5,4% da malattie dell’apparato respiratorio. Inoltre che il 62% dei reclusi ha 40 anni o più e che, al 31 dicembre 2019, ben 5.221 persone avevano più di 60 anni». Per Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, «bisogna concedere la detenzione domiciliare almeno a 10.000 reclusi».

Mentre il Partito Radicale e l’associazione Nessuno tocchi Caino affermano che solo con l’indulto e l’amnistia si possano «ridurre drasticamente i numeri della popolazione carceraria» ma, in assenza di volontà politica, almeno «il Presidente della Repubblica eserciti intanto il suo potere di grazia a fini umanitari e la conceda anche cumulativamente, perché è una sua prerogativa che il Ministro della Giustizia non può ostacolare» (il 12 aprile la VI marcia per l’amnistia su Radio Radicale).

Ieri comunque, la Campania e la Toscana hanno annunciato «a breve» test ematici per tutto il personale penitenziario e i detenuti. Ma è poca cosa. Mentre i Radicali denunciano che nel milanese Opera sono state distribuite agli agenti «bavagliette di cotone semi- trasparente al posto delle mascherine», i detenuti di Rebibbia hanno scritto una lettera arrivata anche al Garante regionale del Lazio, Stefano Anastasia, nella quale (lettera allegata in calce) descrivono una situazione «a dir poco apocalittica» molto frustrante e, spiegano, «malgrado l’immane sforzo» degli uffici preposti alla gestione dei detenuti, le misure finora prese «si stanno rivelando un buco nell’acqua». Non chiedono «affatto» l’indulto, ma di «valorizzare al massimo le relazioni comportamentali dell’istituto» e di «concedere un automatismo» per i domiciliari «quantomeno per soggetti con pena residua tra i 15 e i 24 mesi».