.Nel suo ultimo libro La città ribelle, scritto con la giornalista Sarah Ricca, il sindaco di Napoli Luigi de Magistris ricorda gli inizi a Palazzo San Giacomo: il comune era sull’orlo del default e alcuni imprenditori presentarono al neosindaco degli investitori russi pronti a immettere capitali in città, la loro idea era acquistare il Maschio Angioino o, in alternativa, il Castel dell’Ovo. L’incontro si chiuse subito e l’amministrazione dovette arrangiarsi aderendo al predissesto.

Sei anni dopo, il bilancio di previsione 2017-2019 approvato venerdì alle 7 di mattina dopo una maratona di 22 ore, prevede la vendita dell’Albergo dei Poveri. Il Comune deve rientrare da un debito di circa mezzo miliardo. Nella relazione dell’assessore al Bilancio è prevista un’entrata di 700milioni entro il 2022 dalla dismissione del patrimonio immobiliare. L’operazione relativa all’edificio di piazza Carlo III è già in corso, c’è un tavolo aperto con il Demanio e un fondo immobiliare Inail. Si tratta di un’operazione di federal building: nelle casse comunali dovrebbero entrare 120milioni mentre lo stato riunisce in un’unica struttura i propri uffici, dalla Questura alla Prefettura, abbattendo i fitti passivi.

Il Real Albergo dei Poveri è il più grande palazzo monumentale di Napoli, una delle più grandi costruzioni settecentesche d’Europa. Carlo III di Borbone affidò l’opera a Ferdinando Fuga, la struttura accoglieva i poveri del regno e ha continuato a essere utilizzata fino al 1980. Occupa una superficie di oltre 100mila metri quadri, è una cittadella dentro la città. Perché disfarsene? Perché, tra tagli ai trasferimenti da parte del governo, incapacità a incassare i tributi e mancanza di collaborazione con regione ed esecutivo, non resta che vendere i gioielli di famiglia. Nonostante i restauri già eseguiti a partire dal 1999, ci vorrebbero ancora almeno 130milioni per lavori di ripristino e trasformazione, impossibili da sostenere con la cassa ordinaria di un’amministrazione locale, soprattutto di Napoli che è alle prese con il debito di 83milioni risalente al terremoto del 1980, al 90% di pertinenza del governo: l’interlocuzione con la presidenza del consiglio è in capo a Maria Elena Boschi che non risponde neppure a telefono.

Ogni manifestazione di interesse fatta dal comune è andata deserta, i tavoli con le università e con l’Accademia di Belle Arti non hanno dato risultati. A gennaio 2016 l’Albergo dei Poveri venne inserito tra gli edifici da finanziare con l’art bonus: 5 gli euro incassati. Nel Grande Programma Centro Storico patrimonio Unesco l’Albergo dei Poveri doveva diventare La città dei giovani (200.000.000 fondi Por), ma nel 2010 il piano venne ridimensionato dalla regione di Caldoro, si trasformò nel Grande Progetto Unesco e il budget ridotto a 100milioni. L’Albergo dei Poveri venne eliminato. Neppure la regione di De Luca ha voluto includere la struttura nei finanziamenti europei.

Nel corso degli anni il vuoto dell’Albergo dei Poveri si sarebbe dovuto riempire con i progetti più disparati: i dipartimenti della facoltà di Veterinaria, crollati per una voragine; le attività del Napoli Teatro Festival Italia; i libri dell’Istituto Italiano di Studi filosofici raccolti da Gerardo Marotta e tuttora senza casa; un centro di accoglienza per i senza fissa dimora, progetto per cui si è battuto padre Alex Zanotelli. Dal comune promettono che l’accordo con Demanio e Inail lascerà spazi ai progetti dell’amministrazione, a cominciare dall’assistenza agli homeless, e non porterà a una svendita ai privati. Ma resta il dato: senza un riequilibrio strutturale e un tavolo con governo e regione, prima o poi finiranno pure i gioielli di famiglia da vendere.