Mentre si attende che la Corte costituzionale dia nelle prossime settimane una dettagliata descrizione del concetto di “dipendenza da Trattamenti di sostegno vitale”, che è uno dei requisiti prescritti dalla stessa Consulta nel 2019 (sentenza n. 242, Cappato/Dj Fabo) per accedere al suicidio medicalmente assistito dal Ssn, ieri sul punto si è espresso il Comitato Nazionale per la Bioetica (Cnb). E la sua, di interpretazione, è la più restrittiva che si possa dare. Con 24 voti a favore, 4 contrari (Cinzia Caporale, Maurizio Mori, Luca Savarino, Grazia Zuffa) e 4 non partecipanti, il Cnb ha approvato un documento che definisce i Trattamenti di sostegno vitale (Tsv) come «sostitutivi delle funzioni vitali, la cui sospensione sia seguita dalla morte in tempi brevi».

Per andare sul concreto, secondo il Cnb, i tre malati terminali su cui la Consulta è chiamata ad esprimersi – Massimiliano, dipendente da altre persone, Elena e Romano, che rifiutavano l’imminente supporto dei macchinari, tutti suicidatisi in Svizzera con il sostengo dell’Ass. Coscioni – non avrebbero diritto costituzionale a scegliere l’eutanasia. Il Cnb, dopo quattro Plenarie, ha deciso infatti che i Tsv «non vanno confusi con un trattamento o un farmaco salvavita». E che i requisiti di non punibilità «(cure palliative, patologia irreversibile, trattamenti di sostegno vitale, dolore fisico o psicologico ritenuto intollerabile, decisione libera e consapevole) siano necessariamente concomitanti». Pro Vita & Famiglia se ne rallegra e ringrazia. Ma il parere del Cnb non è vincolante per la Consulta.