Lunedì scorso l’attivista svedese Greta Thunberg aveva giustificato la sua assenza alla Cop 27 che si apre oggi in Egitto con quella che ha definito una politica di greenwashing: ospitare la Conferenza Onu sul clima per ripulirsi l’immagine.

Un’operazione riuscita, quella del regime di Abdel Fattah al-Sisi (le uniche voci di protesta a levarsi sono quelle delle società civili e delle ong): Nazioni unite e governi hanno così scelto di riconoscere legittimità internazionale a un regime notoriamente liberticida.

EPPURE LA COP 27 è stata ulteriore motivo di repressione in Egitto: Sharm el-Sheikh è stata militarizzata, un centinaio di attivisti già arrestati e le ong egiziane escluse dal dibattito Onu. Una «pulizia» necessaria al Cairo in vista dell’annunciata protesta egiziana che si terrà l’11 novembre, in piena conferenza.

Mercoledì l’Egyptian Commission for Rights and Freedoms ha denunciato almeno 93 arresti negli ultimi giorni, dopo fermi ai checkpoint volanti apparsi per le strade del Cairo e utili alla polizia per perquisizioni illegittime e controllo degli smartphone.

Tutti accusati di aver chiamato alla protesta via social e di diffusione di notizie false. In alcuni casi anche di appartenenza a organizzazione terroristica.

Il regime ha così provveduto a chiudere il tradizionale spazio di dissenso e partecipazione che negli anni passati ha accompagnato le Cop: vietato manifestare in strada (il governo egiziano avrebbe autorizzato solo proteste in «zone speciali» della città sul Mar Rosso, lontano dal luogo del summit) e vietato anche prendere parte ai lavori per le tante ong egiziane che si occupano di giustizia sociale e ambientale in un paese che soffre di povertà crescente, diseguaglianze strutturali, desertificazione e siccità, megaprogetti infrastrutturali che stravolgono il volto delle città e devastano parchi e spazi verdi.

A quelle che hanno chiesto di partecipare, l’adesione è stata rigettata: un semplice «no, richiesta negata» come risposta, senza alcuna motivazione nonostante abbiano trascorso mesi per prepararsi alla Cop 27, come già fatto con le conferenze precedenti.

«Le autorità egiziane stanno mandando un chiaro messaggio alle ong egiziane – ha detto a Equal Times Azza Soliman, direttrice dell’ong Cewla – Ovvero che quello che accade in Egitto deve essere tenuto nascosto al mondo. Ong da tutto il pianeta potranno partecipazione ma quelle egiziane non sono le benvenute».

TANTE ASSOCIAZIONI non ci hanno nemmeno provato ad aderire per timore di rappresaglie successive, quando i riflettori internazionali non saranno più accesi sul Sinai e su Sharm. Come l’Egyptian Centre for Economic and Social Rights, da oltre un decennio impegnato a difesa dell’ambiente e di lavoratori e cittadini esposti agli effetti delle poco controllate attività industriali.

A nulla sono serviti gli appelli internazionali, da quello dell’Un Committee of Experts che il 7 ottobre ha chiesto al Cairo di cancellare ogni restrizione all’associazionismo egiziano e la liberazione dei prigionieri politici al rapporto di fine settembre di Amnesty International che ha denunciato l’uso politico fatto dall’Egitto della Cop 27.

Intanto Sharm el-Sheikh è stata militarizzata: una «zona di guerra», così la descrivono all’agenzia Middle East Eye alcuni residenti. Ancora più di prima. Già normalmente la città tanto ambita dal turismo di massa è un percorso a ostacoli tra checkpoint e controlli approfonditi su ogni auto che passa.

Ora la moltiplicazione di poliziotti e soldati, la pesante sorveglianza di ogni entrata e uscita e la presenza soffocante di agenti in borghese hanno costretto tanti pendolari egiziani a evitare Sharm, perdendo intere giornate di lavoro. Tanti negozi, invece, hanno dovuto chiudere su ordine del governo, perdendo così profitti importanti visto il «traffico» di turisti e conferenzieri.