Emergenza sanità, la Sardegna diventa un caso. Il contagio da Covid sta infatti mettendo a nudo le debolezze strutturali di un sistema regionale che, tra cattiva gestione locale e tagli nazionali alla sanità pubblica, già prima della pandemia faceva acqua da tutte le parti. Ora, dopo più due anni di pandemia, la barca rischia di crollare a picco. I due ospedali di Cagliari, il Brotzu e il Policlinico, che nel piano regionale della pandemia sono stati individuati come strutture no Covid, ospitano invece, in condizioni di sicurezza precarie, oltre duecento pazienti positivi.

Niente di strano che in una situazione del genere il virus colpisca anche il personale sanitario: tra i due ospedali cagliaritani sono più di 250 i medici, gli infermieri e gli operatori socio sanitari costretti a stare a casa perché hanno contratto il virus. Al Santissima Annunziata di Sassari, poi, la pressione è tale che in molti reparti i pazienti no Covid sono sistemati nei corridoi in letti di emergenza. In tutte le strutture sanitarie dell’isola manca personale medico-infermieristico sufficiente a contrastare il picco della pandemia e nelle patologie ordinarie non si riesce più a garantire l’assistenza che si dovrebbe.

È saltato il sistema di tracciamento del virus, con effetti disastrosi: mentre nel resto d’Italia, infatti, il numero dei deceduti per Covid è da diversi giorni in costante discesa, nell’isola la curva non cala (da settimane si viaggia con una media di sette morti al giorno) e ieri il tasso di positività era altissimo, il 21,6 per cento, il doppio del dato nazionale, 10,7 per cento. Emblematico di una situazione davvero al limite è il caso di un paziente positivo arrivato al Brotzu dopo essere stato respinto, perché non c’era un letto, dagli ospedali di Olbia prima e poi da quelli di Nuoro e di Oristano. L’uomo è arrivato a Cagliari dopo sei lunghissime ore di viaggio in ambulanza.

La cattiva gestione dell’emergenza sanitaria da parte della giunta Solinas è ormai sotto gli occhi di tutti. Nella campagna per le regionali il segretario del Partito sardo d’azione (che è stato anche senatore, eletto nelle politiche del 2018 in Lombardia nelle liste della Lega) aveva fatto della sanità il suo cavallo di battaglia. La promessa agli elettori era quella di smantellare la riforma attuata dalla precedente giunta di centrosinistra guidata dal dem Francesco Pigliaru: piccoli ospedali periferici chiusi in nome del pareggio del bilancio e “razionalizzazione” della gestione attraverso una drastica diminuzione delle Aziende sanitarie locali. «Riapriamo i piccoli ospedali e restituiamo il governo della sanità alle strutture territoriali», queste le parole d’ordine del leader sardo-leghista. E la sua giunta l’ha davvero attuata la controriforma della riforma Pigliaru, con una legge che il consiglio regionale ha approvato pochi mesi fa.

Ma a parte che sinora neppure uno dei piccoli ospedali o dei reparti periferici chiusi è stato riaperto, la decentralizzazione al momento ha generato soltanto ulteriore inefficienza, come rilevano le associazioni dei malati no Covid che denunciamo la cancellazione o il rinvio degli interventi urgenti per tumori e malattie cardiovascolari gravi e come hanno detto ieri, in consiglio regionale, i capi dei gruppi di opposizione alla giunta durante il dibattito sulla legge finanziaria regionale 2022, che a fronte di una spesa complessiva di 9,5 miliardi, prevede uno stanziamento di quattro miliardi per la sanità e per le politiche sociali, quasi la metà dell’intero bilancio. Tanti soldi, ma sino ad ora pochissima efficienza.