Sergio Romano è stato ambasciatore a Mosca negli anni della perestrojka (1985-1989) ed è autore di moltissimi libri di storia e politica internazionale (la sua ultima fatica è L’epidemia sovranista. Origini, fondamenti e pericoli, Longanesi 2019), ha accettato di fare con noi una chiacchierata sugli ultimi avvenimenti che coinvolgono la Russia.

 

 

Cosa pensa dell’atteggiamento russo in relazione alla crisi bielorussa?

Credo che Putin abbia alzato il tono della polemica con l’occidente quando ha iniziato a sentire parlare di sanzioni, quando ha percepito un’intrusione in un’area territoriale che ritiene di propria competenza e ha avuto la sensazione che si potesse ripetere la vicenda ucraina, una nuova Maidan. Io posso anche capire questo suo atteggiamento: si tratta di una regione, quella bielorussa, all’interno della sfera d’influenza russa da secoli, seppur in diverse modalità.

Quale idea si è fatto del caso dell’avvelenamento di Alexey Navalny?

Devo dire che questo incidente mi ha sorpreso. Si possono fare tante ipotesi, per esempio che i servizi russi abbiano eseguito questa azione. Ma lo avrebbero fatto senza preavvisare Putin che è di casa al Fsb? Lavrov, il ministro degli esteri russo che è uomo esperto, ha respinto le accuse contro il suo paese con nettezza. Cosa succederebbe se fosse provata la mano russa? Ci sarebbe una crisi anche interna di grande dimensioni. Putin può considerare Nalvany fastidioso e irritante? Certamente, ma faccio fatica a pensare che si sia spinto così avanti da volerlo eliminare fisicamente. Forse pensava di “ammonirlo”, colpirlo ma senza ucciderlo? Forse questo è più ipotizzabile. Ed è possibile che sia stato un attentato di servizi segreti di altri Stati? Io credo che in queste faccende non si possa escludere niente, ma anche questa ipotesi mi sembra irrealistica.

Che ricadute potrà avere secondo lei questa vicenda nei rapporti Russia-Europa?

Chiunque sia stato ha l’obiettivo di rendere difficile se non impossibile quel rapporto pragmatico che esisteva tra alcuni paesi europei compreso il nostro – che ha rapporti di lunga data con la Russia – con Putin. In questo senso la prima vittima di questa vicenda è la signora Merkel che si era sempre adoperata per mantenere forti rapporti commerciali con la Federazione di cui il gasdotto North stream 2 ne è un esempio.

C’è chi rema contro, un paese per tutti, la Polonia…

Sì esistono paesi, ma anche soggettività, e non vogliono ci sia un rapporto basato su mutui interessi tra Europa e Russia. Finché nella Ue ci saranno gli ex-satelliti sovietici – troppo frettolosamente agganciati al carro dell’Europa dopo il crollo del muro di Berlino – non ci potrà essere un vero dialogo tra Mosca e Bruxelles.

Macron nell’ultimo periodo aveva cercato di rilanciare un rapporto con Mosca sulla base del vecchio sogno gollista dell’Europa da Vladivostok a Lisbona…

Sì il presidente francese ci ha provato, ma ora sembra spingere meno in questa direzione, conscio forse che questo non è il momento giusto oppure che sia un progetto troppo complicato in cui si sciuperebbero altri rapporti che comunque interessano Parigi.

Da due mesi a Khabarovsk, nell’estremo oriente russo, si susseguono delle grandi manifestazioni a seguito dell’arresto del suo governatore. Crede che esista per la Russia un problema di rapporto “centro-periferia” tra Mosca e molte regioni della Siberia?

Questa è una tendenza assolutamente operante. Già ai tempi di Eltsin i governatori locali, soprattutto in Siberia, stavano creando delle baronie locali. Queste tendenze autonomiste anche fiscalmente, rappresentano il segno di un disagio profondo che per un periodo Putin – dopo la seconda guerra cecena – era riuscito momentaneamente a porre sotto controllo con il “potere verticale” ma che ora riemergono. Ho la sensazione che se la Russia non la si governa dal centro non la si governa e allora questo paese potrebbe diventare incontrollabile e fonte di problemi, non solo all’interno ma anche all’esterno.

Ritiene che nel quadro delle crescenti tensioni Usa-Cina un’alleanza strategica di quest’ultima con la Russia sia possibile?

Io non lo escluderei assolutamente, sta nell’ordine delle cose. Il pessimo rapporto che ha Pechino con Washington nel futuro non è destinato a migliorare. E neppure l’eventuale sconfitta di Trump credo cambierà qualcosa in questo senso. Storicamente gli Usa hanno sempre temuto che la Cina gli sfuggisse di mano. E chiunque siederà alla Casa bianca non potrò che essere molto preoccupato di un’eventuale asse Russia-Cina.

Per concludere, lei che è un attento osservatore delle dinamiche internazionali in generale, quali pensa saranno le ricadute politiche della crisi del coronovirus?

Un aspetto interessante è stato la posizione anti-lockdown che hanno assunto i governi autoritari da Trump fino a Bolsonaro. Forse perché ciò avrebbe danneggiato alcuni gruppi economici su cui fanno affidamento? Certo, ma non solo. Ma è emersa nella crisi per questi leader una messa in discussione del loro potere che viene demandato ad autorità sanitarie e scientifiche. Si tratta di una cessione di potere che non possono accettare, a cui si ribellano. Per questa generazione di governanti autoritari o desiderosi di diventarlo nel prossimo futuro, il Covid-19 è stato un calcio negli stinchi che ha limitato il loro raggio d’azione. Per cui non tutto il coronavirus è venuto per nuocere, mi verrebbe da dire. Tuttavia l’ascesa di tanti leader autoritari è rimandabile anche alla crisi che attraversa la democrazia rappresentativa, la quale non suscita più a livello mondiale gli entusiasmi di un tempo ed è percepita spesso come un impiccio. E ciò rende tutto molto meno governabile, come si vede in modo lampante anche nella crisi razziale americana delle ultime settimane.