Il 9 agosto del 1943, nel carcere di Brandeburgo, cadono sedici teste, recise dalla ghigliottina. Appartengono ad altrettanti oppositori del nazismo e obiettori di coscienza che hanno rifiutato di arruolarsi nell’esercito tedesco. Quindici di loro sono testimoni di Geova, uno è cattolico, il contadino austriaco Franz Jägerstätter, che sceglie di obbedire al Vangelo e alla propria coscienza e di dire no a Hitler.

È una rivolta nonviolenta assoluta e solitaria, etica più che politica, quella di Jägerstätter. Altrettanto radicale, ma diversa quindi da quella di altri cristiani antinazisti suoi contemporanei, come i cinque giovani della Weisse Rose (Rosa Bianca), decapitati insieme al loro professore nel febbraio 1943 per aver redatto e diffuso a Monaco di Baviera una serie di volantini che incitano alla resistenza al nazismo; o come quella del teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, impiccato nell’aprile 1945 a Flossenbürg per aver partecipato a una congiura contro Hitler. La racconta Francesco Comina, giornalista e scrittore altoatesino, in un volume che nel titolo condensa l’essenza della ribellione del contadino austriaco: Solo contro Hitler. Franz Jägerstätter, il primato della coscienza (Emi, pp. 176, euro 16).

NON ERA IL PRIMO NO che pronunciava Jägerstätter: cinque anni prima aveva votato contro l’Anschluss, l’annessione dell’Austria al Terzo Reich. Nel suo paese, Sankt Radegund, nell’Alta Austria, era stato l’unico a esprimersi per il no, anche pubblicamente. Il giovane contadino aveva compreso bene la natura del nazionalsocialismo e aveva tirato dritto per la propria strada, senza cedere alle pressioni di chi lo circondava, familiari, amici e preti, che lo invitavano ad adeguarsi alla maggioranza degli austriaci – votò sì il 99% – e a non mettersi nei guai. Da lì in poi, l’opposizione al regime diventa intransigente, perché non si può essere nazisti e cattolici: sceglie la fedeltà al Vangelo e alla propria coscienza di credente Jägerstätter, in solitudine, perché dalla Chiesa cattolica, che anzi scende a patti con Hitler (e Mussolini), non riceve né sostegno né risposte convincenti, se non quelle di tacere e obbedire.

È PROPRIO PER QUESTO che sulla figura di Jägerstätter cala il silenzio e una sorta di damnatio memoriae: troppo scomoda la testimonianza di un semplice contadino che, senza far parte di gruppi o movimenti organizzati, può mettere a nudo le contraddizioni e gli opportunismi dei propri concittadini e di una Chiesa che hanno detto sì a Hitler. Il governo austriaco respinge la richiesta di sussidio da parte della moglie Franziska, che riesce a ottenerlo solo nel 1950, dopo una lunga battaglia giudiziaria. I vescovi di Linz fino al 1980 rifiutano di considerare Jägerstätter un eroe antinazista, proprio perché ha obiettato al dovere militare: non si possono turbare le coscienze della maggior parte dei credenti che invece ha obbedito agli ordini del Führer.

Jägerstätter riemerge dall’oblio solo alla metà degli anni Sessanta mentre Giovanni XXIII scrive la Pacem in Terris e al Concilio Vaticano II si discute del primato della coscienza, grazie soprattutto a Thomas Merton, monaco trappista e strenuo oppositore della guerra degli Usa in Vietnam, che a sua volta aveva appreso la storia del contadino austriaco dal sociologo Gordon Zahn, attivista del Catholic Worker Movement della pacifista Dorothy Day. Negli anni Ottanta il nuovo vescovo di Linz, monsignor Aichern, riconosce l’esemplarità dell’azione nonviolenta di Jägerstätter, che alla fine, nel 2007, dopo un dibattito piuttosto acceso, la Chiesa cattolica beatifica come «martire», per il suo «coerente rifiuto di combattere come soldato nella guerra di Hitler».