Tra i debuttanti a Venezia quest’anno ci sarà anche il Camerun il cui padiglione non passa inosservato perché non solo rappresenta un esordio per il paese, ma anche un modo di fare arte e concepirne il mercato che non aveva mai trovato una location così prestigiosa come la Biennale d’arte di Venezia: la NFTs Art, l’arte del  Non Fungible Token. Un Nft può essere qualsiasi tipo di file digitale: un’opera d’arte, un articolo, musica.

GLI ARTISTI PER VENDERE i propri lavori e mantenerne una sorta di «proprietà certificata» devono coniarla tramite un contratto su una cripto valuta supportata da una blockchain attraverso una transazione digitale che crea una immutabile traccia di provenienza. Se una delle tre aree tematiche di questa edizione concerne la relazione tra gli individui e le tecnologie, ci sono contrastanti opinioni riguardanti l’arte nel contesto Nft e la sua presenza a Venezia influirà sulla sua legittimazione. Discutibile è inoltre la selezione degli artisti e la nomina di uno dei curatori già criticato nell’edizione 2017.

IL MITO DELLA VALIDITÀ del lavoro d’arte, implicitamente legato alla partecipazione alla storica Biennale di Venezia, sembra essere in declino. O quantomeno, sempre più ridursi a un logo da utilizzare sui portfolio post-Venice. Certamente duplicherà gli inviti, così come le quotazioni dei propri lavori. Non automaticamente ne duplicherà il valore. Ma la capitalizzazione dell’arte sembra ormai essere il fine ultimo.
The Times of the Chimera curato da Paul Mahop e Sandro Stagl avrà sede al liceo Michelangelo Guggenheim, e a Palazzo Ca’ Bernardo. Il primo ospiterà quattro artisti camerunesi (Francis Nathan Abiamba, Angéle Etoundi Essamba, Justine Gaga e Salifou Lindou) e quattro artisti internazionali (Shay Frisch, Umberto Mariani, Matteo Mezzadri, Jorge R. Pombo). Mentre il secondo, l’esposizione Nft con 20 artisti da diverse parti del mondo. Nessuno dal Camerun. Stagl ha curato nel 2013 il padiglione del Kenya con un solo artista keniota. Quello del Camerun ripete lo stesso vizio: predilige artisti non del paese rappresentato. Se si vuole oltrepassare il limite colonialista dello stato-nazione, forse non lo si dovrebbe fare in padiglioni africani per la prima volta a Venezia.
Con Armand Abanda Maye del Ministero delle arti e della cultura del Camerun come commissario, il padiglione non prevede finanziamenti governativi ma sponsor privati e investitori del Global Crypto Art – Dao, Decentralized Autonomous Organization, una iniziativa collettiva in ascesa nel cosiddetto «web3», infrastrutture decentralizzate in Internet che utilizzano blockchain.

LA STESSA GCA è responsabile della selezione degli artisti presenti a Ca’ Bernardo. Ad essi non viene chiesto di pagare ma viene «suggerita» una donazione di una o due opere per gli sponsor iniziali. Nel sito dell’iniziativa sono inoltre in vendita a 2,8 eth (circa 8200 euro) dei pass negoziabili che garantiscono ai detentori lo status di «consiglieri» Gca, anteprime vip e altri vantaggi esclusivi. Durante la Biennale le opere non saranno vendute, ma potenziali investitori e collezionisti sono incoraggiati ad acquistarle e collezionarle prima e dopo. Agli artisti è inoltre lasciata libertà di commercializzare il proprio lavoro.
Gca, costituita nel dicembre 2021 da cinque fondatori della comunità Nft, 15 professionisti dell’arte contemporanea e cripto arte, e 22 «artisti tradizionali», prevede di continuare il suo lavoro «curatoriale» in futuro.

LA PROVENIENZA e l’intenzione di questa esposizione Nft è discutibile quando si nota, ad esempio, che le opere di João Angelini, artista brasiliano selezionato, sono state coniate dalla galleria che lo rappresenta. Web3 si basa su contenuti generati dagli utenti, con autorità generate dagli utenti, in questo caso gli artisti.
La migliore pratica imporrebbe quindi che un’opera di un autore vivente – come Angelini – fosse creata dall’artista stesso e non attraverso una riproduzione, seppur concordata, da parte della galleria.