L’eventualità è improbabile ma il colpo di scena sarebbe clamoroso, paragonabile per certi versi alle vittorie a sorpresa della Brexit o di Trump: se a Roma Enrico Michetti dovesse battere Roberto Gualtieri sarebbe un terremoto, e non limitato al pur molto importante scenario romano. È un candidato debole, non ha quasi mosso un dito per vincere, l’ondata antifascista porterà alle urne qualche indeciso del fronte opposto. Se dovesse spuntarla lo stesso tutte le strategie politiche e i rapporti di forza tra le coalizioni e al loro interno ne uscirebbero stravolti. L’ipoteca sulle elezioni politiche sarebbe probabilmente definitiva. Il trionfo di Giorgia Meloni incontestabile.

IN CONTROTENDENZA rispetto alle previsioni, almeno a quelle precedenti il primo turno e già smentite, sarebbe anche la vittoria a Torino di Lo Russo, centrosinistra, contro Damilano, che sulla carta partiva con la vittoria quasi in tasca. Sarebbe uno scossone anche questo ma di portata limitata. Per il centrosinistra si tratterebbe solo di trasformare in cappotto una vittoria comunque, salvo sorprese a Roma, netta. Per il centrodestra sarebbe la conferma definitiva di stare marciando sulla strada sbagliata. La conquista del punto della vittoria cambierebbe poco, ma vedersi sfuggire di mano anche quello metterebbe la destra di fronte a un dilemma secco: cambiare moltissimo, se non tutto, o mettere a fortissimo rischio l’esito delle politiche. Sempre che la destra sia in grado di invertire la rotta domando la competizione interna, e non è affatto detto.

A incidere sul quadro politico non sarà solo la scelta dei primi cittadini. Una sconfitta di misura di Michetti a Roma permetterebbe a Meloni, che lo ha scelto e sostenuto, di reggere all’urto di Salvini. Certo, il leghista presenterebbe il conto ma dovendo a propria volta assumersi la responsabilità, personale oltre che di partito, della fallimentare scelta del candidato a Milano.

SE PERÒ L’EVENTUALE scarto fosse clamoroso, nemmeno l’increscioso precedente meneghino metterebbe sorella Giorgia al riparo dall’assalto della Lega e di Fi. La destra ha scelto di usare queste comunali più per pesarsi e verificare i rapporti al proprio interno che non per cercare di conquistare i principali comuni del Paese. È inevitabile che ogni elemento, anche apparentemente secondario, finisca per pesare in una resa dei conti dalla quale dovrà uscire l’assetto col quale la destra affronterà le prossime elezioni. E forse anche la disponibilità, soprattutto della Lega, a rivedere una legge elettorale che è ora il Pd a non voler modificare, sentendosi il vento in poppa.

MA ANCHE LA FORZA di quel vento sarà verificata oggi nelle urne. Se gli elettori del M5S notificheranno la loro indisponibilità ad appoggiare i candidati del Pd, infatti, il progetto di alleanza Pd-M5S andrà, se non abbandonato, almeno calibrato in modo diverso da quello pensato da Letta e prima ancora da Zingaretti. Di certo il colpo per l’idea, o il miraggio, di un nuovo Ulivo sarebbe fatale.

I partiti oggi contano meno dei loro leader. Letta è a un passo da un successo meno clamoroso e decisivo di quanto la propaganda non racconti ma comunque indiscutibile, destinato a rafforzare le sue posizioni nel partito e nel quadro generale. Giorgia Meloni si avvia a uscire comunque molto rafforzata nei consensi. Ma l’ultimo scorcio di campagna elettorale ha mostrato quanto alto sia il rischio di vedersi rinserrata in un ghetto senza sbocchi: come si bilanceranno i due contraddittori elementi dipenderà in buona parte dal voto di Roma. La sconfitta di Salvini è evidente. Lo è allo stesso modo e forse ancora di più quella di Giuseppe Conte. I bagni di folla non si sono trasformati in voti, la popolarità nei sondaggi appare come arma almeno depotenziata. Ma se gli elettori sceglieranno di non seguire le sue indicazioni nella Capitale sarà la sua stessa mai davvero nata leadership a tornare in ballo.