Ma quanto è cronicizzato – per non dire istituzionalizzato – il maltrattamento dei giovani detenuti all’interno delle carceri minorili? La domanda – che si ripropone ad ogni denuncia di violenza subita da coloro che si trovano nelle mani dello Stato – trova in questo caso risposte nel XX Rapporto annuale di Antigone dal titolo «Nodo alla gola» presentato ieri (dopo quello di febbraio specifico sui minorenni, «Prospettive minori»), che scatta una fotografia generale sulle condizioni di detenzione nei penitenziari italiani. «La presa in carico dei ragazzi è sempre più disciplinare e farmacologizzata – spiega Susanna Marietti, responsabile dell’Osservatorio minori di Antigone – con un utilizzo smodato di psicofarmaci, soprattutto per i minori stranieri non accompagnati che vengono spostati come fossero pacchi da un Ipm ad un altro a seconda delle esigenze, con una modalità che contribuisce a creare e aumentare le tensioni». L’associazione aveva già denunciato in particolare, ricorda Marietti, «il clima interno teso del Beccaria, il sovraffollamento dell’istituto milanese, i lavori di ristrutturazione che durano da anni e limitano gli spazi per le attività, la carenza di personale educativo e i direttori cambiati ripetutamente nel corso di pochi anni».

DUNQUE, AL NETTO DEI CRIMINI eventualmente commessi dai singoli poliziotti, c’è un problema più generale che riguarda i 17 Istituti penali per minorenni (Ipm) dove «alla fine del febbraio 2024 erano 532 i giovani reclusi» (di cui 312 minorenni, 211 giovani adulti, 18 donne in tutto) e dove il loro numero «cresce pericolosamente per effetto del decreto Caivano», secondo il monitoraggio di Antigone che stima in oltre il 30% l’impennata di reclusi nell’ultimo anno. «Negli ultimi 10 anni – si legge – non si era mai raggiunto il numero di ingressi in Ipm registrato nel 2023, pari a 1.143». Il 94,3% dei giovani ristretti è in custodia cautelare. Una percentuale incredibilmente alta, se si confronta con quel 73,5% dei 61.049 detenuti nelle carceri per adulti che al 31 marzo 2024 stava scontando una condanna definitiva. Anche il trend di crescita è decisamente minore nei penitenziari per adulti: nell’ultimo anno le presenze sono aumentate in media di 331 unità al mese.

Gli stranieri, a prescindere dal reato commesso, avendo legami meno solidi sul territorio e meno opportunità di partenza, hanno anche minori possibilità di evitare la carcerazione. Dunque, se negli istituti per adulti il 31,3% dei detenuti è straniero, un numero «in calo sostanzioso» rispetto ad oltre il 37% di 15 anni fa, negli Ipm, sottolinea Antigone, «più la misura è contenitiva e più i ragazzi stranieri sono percentualmente rappresentati»: «Nel 2023, infatti, erano il 29,2% dei ragazzi complessivamente avuti in carico dai servizi della giustizia minorile, il 38,7% dei collocamenti in comunità, il 48,7% degli ingressi in carcere». La «maggioranza dei detenuti minori stranieri arriva dal nord Africa». Non molto diversa la provenienza dei detenuti adulti, ma con una differenza: «Rispetto a 10 anni fa, il peso percentuale della Romania sul totale dei detenuti stranieri è sceso del 4,9%, quello dell’Albania del 3,6%, mentre quello del Marocco è salito del 4,2%». «Il caso rumeno è di particolare interesse», si spiega, perché si è assistito «a un calo percentuale di quasi un terzo in 15 anni», segno che «a mano a mano che si procede lungo il processo di integrazione», diminuiscono «la propensione al crimine e il tasso di detenzione».

NEL SUO XX RAPPORTO Antigone, nella «drammatica situazione delle carceri italiane», sceglie però di dare un risalto particolare alla tragedia di chi si toglie la vita: «Sono 30 i suicidi dall’inizio dell’anno. Nel 2022, quando poi a fine anno furono 85 (il numero più alto mai registrato finora), se ne erano registrati 20 nello stesso arco temporale. In carcere ci si leva la vita ben 18 volte in più rispetto alla società esterna». Si tratta di giovani e giovanissimi: 40 anni è l’età media di chi si è suicidato in cella nell’ultimo anno e mezzo. Molti sono stranieri. Tanti, troppi, affetti da presunte o accertate patologie psichiatriche. Alcuni «provenivano da passati di tossicodipendenza, altre erano persone senza fissa dimora». Antigone mette in guardia il governo Meloni dall’«utilizzo populistico dello strumento penale» e avverte: se il reato di rivolta penitenziaria fosse approvato «ci aspettiamo un possibile aumento dei suicidi e degli atti di autolesionismo poiché, se si toglie anche la possibilità di protestare pacificamente, l’unico strumento che le persone recluse avranno per manifestare disagio potrà essere il proprio corpo».