L’Oms esporterà in sei Stati africani le tecnologie e il know-how necessari a produrre i vaccini a mRna contro il Covid-19. I paesi selezionati per il trasferimento tecnologico sono Senegal, Egitto, Tunisia, Kenya, Nigeria e ovviamente Sudafrica.

L’ANNUNCIO dell’espansione della produzione vaccinale è arrivato a Bruxelles durante il summit tra Unione europea e Unione Africana per voce del direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus. «Più di ogni altro evento, la pandemia ha dimostrato che affidarsi a poche aziende per distribuire un bene pubblico globale è limitante e pericoloso», ha detto Tedros. «A medio termine, il modo migliore per affrontare le emergenze sanitarie e raggiungere una copertura universale è aumentare significativamente in tutto il mondo la capacità produttiva dei prodotti necessari, avendo come obiettivo l’equo accesso alle terapie». Qui, infatti, ha sede il technology transfer hub, consorzio di agenzie pubbliche e imprese private finanziato da Oms, Ue, Francia e Belgio per sviluppare e diffondere le competenze per produrre vaccini a mRna.

A CITTÀ DEL CAPO, la AfriGen ne ha sviluppato uno «liberamente ispirato» a quello Moderna, ma senza l’aiuto dell’azienda statunitense. Di fronte alla scarsa collaborazione delle multinazionali farmaceutiche, l’Africa punta dunque all’autosufficienza vaccinale. E, allo stesso tempo, si dota delle tecnologie necessarie per produrre anche altri vaccini e farmaci basati sull’mRna per future emergenze sanitarie. Ma la strada per arrivare a un vaccino africano contro il Covid è ancora lunga.

Il lancio del technology transfer hub sudafricano nel 2021 era avvenuto tra mille difficoltà: Pfizer, BioNTech e Moderna, le aziende che detengono il know how per produrre questo tipo di vaccini, hanno negato ogni supporto. Stando alle dichiarazioni ufficiali, le aziende non dovrebbero nemmeno mettersi di traverso. Invece, la fondazione kENUP – che sostiene l’innovazione tecnologica europea ed è legata alla tedesca BioNTech – secondo un’inchiesta del British Medical Journal ha fatto pressioni sul governo sudafricano affinché desistesse dal progetto dell’Oms ventilando future controversie brevettuali.

In alternativa, la BioNTech ha proposto un impianto prefabbricato da trasportare via nave. Si tratta di container da montare sul posto e provvisti di tutte le apparecchiature necessarie per produrre in loco i vaccini. Gli impianti avrebbero una capacità produttiva di soli 50 milioni di dosi l’anno, cioè meno di quanto uno stabilimento tradizionale produce in un mese. Secondo BioNTech, che avrebbe avviato trattative con Senegal, Ruanda e Sudafrica, la produzione nei container potrebbe iniziare fra due anni. Non è una reale soluzione al problema delle disuguaglianze vaccinali.

SEBBENE INDICHI UNA VIA promettente, neanche il vaccino sudafricano sarà un rimedio immediato. «L’annuncio di oggi segna una tappa importante sulla strada dell’aumento della capacità produttiva di vaccini nei paesi a basso e medio reddito» dice Kate Stegeman, coordinatrice della campagna per l’accesso ai vaccini di Medici Senza Frontiere. «Ma servono molti altri passi: lo sviluppo di una versione del vaccino più stabile alle alte temperature, la realizzazione dei test clinici, lo sviluppo di una produzione industriale. Oltre alla formazione del personale e alle attività di trasferimento tecnologico verso le aziende, questi fattori ad alto tasso tecnologico sono necessari». Per questo Msf chiede a Moderna di fornire all’hub l’assistenza tecnica che velocizzerebbe i tempi di produzione dei vaccini.

PUÒ APPARIRE PARADOSSALE che, in un mercato farmaceutico globalizzato, il solo modo di far arrivare i vaccini in Africa sia produrli localmente. Tutte le iniziative umanitarie, però, finora non hanno funzionato. «Al momento, 116 Paesi non appaiono in grado di raggiungere l’obiettivo di vaccinare il 70% della popolazione entro giugno» ha detto Tedros. «Oltre l’80% della popolazione africana deve ancora ricevere la prima dose».

Secondo un report della People’s Vaccine Alliance, entro febbraio l’Ue dovrà smaltire 55 milioni di dosi scadute, 25 in più di quelle donate nel 2022 dall’Europa attraverso il programma umanitario Covax dell’Oms. Non è la prima volta che le dosi da donare finiscono nell’immondizia. «Le donazioni sono arrivate senza preavviso, spesso a ridosso della scadenza dei vaccini», spiega Jacopo Tomasina, advocacy advisor di Emergency. Molti paesi a basso reddito non hanno i mezzi per mantenere in funzione la struttura logistica per la distribuzione dei vaccini, se le consegne arrivano a intermittenza. «Non basta far arrivare i vaccini nei paesi perché siano somministrati» aggiunge. «Occorre il supporto per lo stoccaggio e la distribuzione, fino alle zone più remote». Con i vaccini made in Africa, produzione e distribuzione dovrebbero finalmente andare d’accordo.