Sotto i pini, la statua lignea di un asinello con le ali è il simbolo della cooperativa agricola Coraggio che alla periferia di Roma gestisce terre pubbliche assegnate. Qui è in corso l’assemblea dell’Associazione rurale italiana (Ari), nata nel 2000 e parte del movimento internazionale La Via Campesina. Alla tavola rotonda su «Terra e dignità, conflitti, accesso e alleanze verso il diritto alla terra per la sovranità alimentare» hanno partecipato, insieme a chi coltiva, diversi movimenti che nelle regioni italiane si muovono contro la cementificazione e per un altro modello di produzione e consumo del cibo. Agroecologico ed equo.

E le proteste in corso nelle piazze? Antonio Onorati, di Ari e dell’associazione Crocevia, e Fabrizio Garbarino, presidente di Ari, spiegano: «La rappresentazione della fragilità dell’agricoltura industriale è tutta in queste manifestazioni. Occorre far capire che c’è un modello agricolo che resiste e si adatta meglio, è quello dei piccoli in agroecologia, che si basa sul lavoro, è diversificato, abituato al limite. Siamo stati i primi nel bio, abbiamo inventato un sistema nostro per i semi. E lottiamo per l’accesso alla terra». Non per nulla il Coordinamento europeo di Via Campesina (Ecvc) propone una direttiva europea per l’accesso e il governo delle terre agricole, vista la latitanza delle leggi nazionali.

Ari sottolinea la questione dei contributi europei: «Su 1,1 milioni di aziende agricole in Italia, 400.000 ne sono praticamente prive, altre magari arrivano a 3.000 euro l’anno: i soldi di tutti noi sono distribuiti sulla base degli ettari e delle misure». E quanto a queste ultime: «Il denaro per la robotica e l’agricoltura di precisione non può che andare ai grandi. Ma noi dobbiamo e vogliamo far capire a quelli che protestano che devono aprire gli occhi: il modello agricolo industriale è destinato a schiantarsi. È minerario e come le miniere a un certo punto finisce. Meglio cambiare prima.

Spiegano Onorati e Garbarino: «In piazza ci sono anche piccoli e medi agricoltori che sono in un mare di guai. Ma gli hanno fatto credere che i loro guai siano nel Green Deal, nelle misure ambientaliste. In realtà il fatto è che la Farm to Fork avrebbe dovuto essere inserita come obbligo nella Pac».

Certo si contestano anche le misure europee anti-pesticidi «ma con la difesa di quel modello non si andrà da nessuna parte. Produci commodities, più che cibo, sulla base di prezzi e dinamiche imposti dalle Borse. Se non si mette in discussione questo, è inutile lamentarsi per la riduzione nell’uso degli input di sintesi. Non ti salvi lo stesso. La tigre non la puoi cavalcare, ti mangia!».

Sul lato delle rivendicazioni europee che Ari ritiene indispensabili c’è la distribuzione dei contributi sulla base del lavoro e del modello sostenibile, non degli ettari posseduti. Un aggancio possibile con chi protesta senza sentirsi rappresentato dalle tradizionali organizzazioni di categoria («manca ormai una rappresentanza democratica del mondo contadino», ribadiscono all’Ari) può essere la contestazione del dumping ecologico e sociale legato alle importazioni massicce di derrate, magari agevolate? «La Via Campesina è dal 1996 che si oppone all’inserimento dell’agricoltura nell’Organizzazione mondiale del commercio e a svariati accordi di libero scambio. Ha contribuito ad affossare quello Ue-Mercosur. Soprattutto siamo contro la finanziarizzazione, i contratti future sui prodotti agricoli. Va anche detto che non ci si può lamentare per le importazioni quando poi la politica nazionale – con il suo concetto di sovranità che è diverso dal nostro – punta sull’export».

E la questione dei prezzi del carburante agricolo? «È un grande problema soprattutto in Germania. In Italia lo è in particolare per i contoterzisti, con i loro enormi macchinari. Sono ex agricoltori, non più in grado di far sopravvivere la loro azienda, convertitisi a lavorare enormi appezzamenti altrui. Ecco perché, tra l’altro, nelle grandi aziende agroindustriali non ci sono quasi più dipendenti».
Sulla questione del consumo di suolo, Fabrizio Garbarino fa notare: «Ho visto i cartelli: non date le terre al fotovoltaico, lasciatecele coltivare. Siamo d’accordissimo. E questo non significa essere contro le energie rinnovabili, ma dire: riempite prima i tetti di tutti i capannoni, tutto quello che già non è più agricolo». Ari non si vuole opporre ai comuni, «a volte sono alla fame, per mantenere i servizi svendono terreni. È un lavoro insieme quello che dobbiamo fare».