La lotta sindacale contro il ministro «Precetto La Qualunque» Salvini copre molte forme. Se ieri Cgil e Uil hanno depositato il ricorso al Tar contro il provvedimento che ha fermato lo sciopero generale dei lavoratori dei trasporti, l’Usb ha deciso di disobbedire all’ultima precettazione di martedì sera contro lo sciopero di domani.

E così mentre Salvini spiegava che con la riduzione a 4 ore della protesta del trasporto pubblico locale «sono salvaguardati il diritto di sciopero e il diritto alla mobilità dei cittadini» perché «il diritto a chiedere salari più adeguati è sacrosanto, ma non si può paralizzare l’Italia per un giorno intero, a ridosso del natale», l’Unione sindacale di base a stretto giro annuncia che «disubbidirà all’ordinanza, riconfermando dunque le 24 ore di sciopero nel Tpl ricorrendo così ad «un atto politico necessario per rompere questo assedio al nostro diritto di sciopero in Italia»

USB DUNQUE PAGHERÀ le sanzioni previste dalla legge 146 del 1990 sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali che vanno da 2.500 a 50.000 euro al giorno, decise dal Ministero.

L’Unione sindacale di base mette però al riparo i lavoratori, ricordandogli che l’adesione alla protesta è individuale e che costerebbe dai 500 ai 1000 euro al giorno per ogni singolo dipendente. «Sanzione illegittima ma pesantissima di cui non possiamo chiedere a nessuno di farsi carico», spiega Usb invitando gli autoferrotranvieri di fatto a rispettare il taglio a 4 ore imposto: «Non serve al momento consegnare a Salvini il portafoglio di nessuno», continua la nota, che rivendica la scelta «per poter ricominciare a essere più liberi e senza ricatti di multe domani», tornando a scagliarsi contro «l’ormai evidente attacco al diritto di sciopero in questo paese».

MARTEDÌ IL SINDACATO Usb «ha dovuto subire la terza ordinanza di riduzione in poco più di due mesi. Non c’è mai stato alcun “grave e imminente pregiudizio per la mobilità”, condizione prevista dalla stessa legge per la precettazione da parte delle autorità e, nella mattinata di martedì, la stessa Commissione di Garanzia ha verbalizzato come questo sciopero fosse assolutamente regolare rispetto i vincoli della legge 146/90», conclude la nota.

Sempre ieri, come annunciato fin dalle prime ore dopo l’ordinanza del 14 novembre, Cgil e Uil hanno depositato al Tar del Lazio il ricorso che impugna la precettazione subita per lo sciopero generale del 17 novembre, sempre con taglio da 24 a sole 4 ore per i lavoratori del trasporto pubblico locale.

SI PROFILA UN BRACCIO DI FERRO lungo, le due confederazioni infatti avevano già abbandonato l’eventualità di un ricorso «d’urgednza» per una sospensione tout court del provvedimento, troppo stretti i tempi, preferendo imboccare la strada ordinaria della giustizia: la prima udienza dovrebbe tenersi non prima di maggio 2024. Il ricorso, spiegano i sindacati, fa perno sostanzialmente sulla «non ragionevolezza» della precettazione rispetto ai motivi che Salvini aveva addotto elencati “nero su bianco” nell’ordinanza che avrebbero però avuto ragione di essere solo in caso di uno sciopero generale che avesse arrecato «pregiudizio grave ed imminente dei diritti costituzionali degli utenti».

Pregiudizi che per Cgil e Uil sono «inesistenti» considerato che lo stop di 24 ore nel trasporto pubblico locale prevedeva, in ottemperanza alla legge, il rispetto di fasce di garanzia con cui tutelare i cittadini. Ci sarebbe stato dunque, per i sindacati, un «eccesso» nell’utilizzo di motivazioni a fondamento della precettazione che eccede il perimetro dettato dalla legge sugli scioperi.

Inaccettabile per Cgil e Uil, infine, la «considerazione» espressa da Salvini nel documento relativamente alla «ampia rappresentatività dei sindacati che avrebbe dunque potuto determinare un’alta adesione allo sciopero». Un ricorso, quello contro lo sciopero del 17 novembre scorso, che si somma ad una precedente e ancora recente impugnazione da parte di Filt Cgil e Uilt per una nuova precettazione attraverso cui Salvini tagliò un altro sciopero nazionale per il Tpl a settembre, proclamato per accendere un faro sulle condizioni di lavoro e per il rinnovo dei contratti. Anche questo poi incardinato in via ordinaria.