«Il Brasile ha conosciuto nei primi tempi coloniali la ricchezza delle piantagioni di canna da zucchero, ha proclamato l’indipendenza nazionale, ha conosciuto le ricchezze delle miniere d’oro a Minas Gerais, e delle produzioni di caffè, si è industrializzato, ma non ha sconfitto la fame». L’allegria, l’euforia nel popolo occupa le strade della capitale Brasilia, un’onda di lavoratori, movimenti sociali, occhi quasi increduli, un clima in cui paura e speranza si fanno materia unica … «Fin quando ci sarà un fratello o una sorella brasiliana che soffre la fame avremo ragione di vergognarci – Stiamo iniziando oggi un nuovo capitolo della storia del Brasile non più come nazione sottomessa che rinuncia alla sua sovranità; non come nazione ingiusta, che assiste passivamente alla sofferenza dei più poveri, ma come nazione fiera, nobile, che si afferma coraggiosamente al mondo, Paese di tutti senza distinzione di classe, etnia, razza, credenza. Oggi è il giorno del rincontro del Brasile con sé stesso».

Era il 1° gennaio del 2003: prima presidenza del sindacalista Luiz Inácio Lula da Silva. Abbiamo assistito a un film simile vent’anni dopo, domenica scorsa. Tra le differenze in scena, il ruolo dell’attore co-protagonista. All’epoca il presidente uscente, Fernando Henrique Cardoso, passò la fascia presidenziale al successore – incoraggiandolo con un fraterno abbraccio – per poi confessare alla stampa di aver quasi pianto per l’emozione. Bolsonaro, invece, ha preferito non passare il testimone, in terpretando un colpo (o un’uscita) di scena più che prevedibile considerando il personaggio, ma che non è unico nella storia del Brasile: antecedente “illustre” fu l’ultimo presidente della dittatura militare, João Figueredo. In quel caso, la situazione era più intricata. L’ultimo militare si giustificò con l’antipatia nei confronti di José Sarney che assunse la presidenza al posto di Tancredo Neves colpito da misterioso malore: non doveva essere lui ad assumere la presidenza! – affermò stizzito. La sostanza non cambia: senso della democrazia inesistente.

Intanto, Lula rilancia il «ditadura nunca mais» con il «democracia para sempre» e l’assenza di Bolsonaro rende possibile l’entrata sul palco presidenziale di attori inattesi che infiammano la partecipazione popolare. A passare la fascia presidenziale a Lula sono Francisco, 10 anni, promettente campione di nuoto proveniente da una delle periferie più povere di São Paulo; Aline, esponente di spicco del Movimento nazionale degli operatori ecologici; Raoni, leader indigeno che dal villaggio Kraimopry-yaka chiede la pace e la conservazione della foresta e la difesa di chi la popola; Weslley, metallurgico, laureato in Educazione fisica grazie al Programma di Finanziamento degli Studenti (Fies) voluto da Lula; Jucimara è una cuoca che ha fatto il pane per il movimento Lula Livre per 10 mesi; Ivan, giovane affetto da paralisi cerebrale, è considerato uno degli ambasciatori dell’inclusione sociale; Flávio, artigiano, è stato presente per 580 giorni alla veglia di Curitiba, durante il periodo in cui Lula è stato incarcerato; Murilo è professore di portoghese presso l’Universidad de La Sabana, a Bogotá e al Bluefield College, nel West Virginia. Insieme sul palco rappresentano i settori subalterni più vulnerabili che si riprendono la scena, restituendo la sovranità al popolo.

«Non vogliamo vendetta» ha proclamato Lula, riferendosi al suo predecessore. Del resto le parole più ricorrenti del suo discorso sono «verità» contro «menzogna», «speranza» contro «rassegnazione», «amore» contro «odio». La vendetta quindi non potrebbe rientrare nel vocabolario della «ricostruzione e riunificazione» del Brasile, ma il richiamo al primato della legge preoccuperà chi, esaltato da un discorso negazionista, ha trascurato la pandemia, ha svuotato la salute pubblica, smontato l’educazione, negato l’accesso alla cultura, mortificato le università, devastato l’Amazzonia, disorganizzato l’economia, umiliato la scienza.

I segnali che il vento stia cambiando sono forti: subito la cancellazione del decreto di liberalizzazione delle armi e l’istituzione del Ministero dei popoli indigeni, Ministero delle donne, Ministero dell’eguaglianza razziale presieduti da tre attiviste – Sonia Guajajara, Cida Gonçalves e Anielle Franco, sorella di Marielle assassinata da milizie a causa del suo impegno per l’eguaglianza di genere e razza. Poi il richiamo a un fronte ampio, di lavoratori, intellettuali, imprenditori, movimenti sociali, servitori pubblici, cittadine: «La diseguaglianza, la povertà, la fame, sono il crimine il più grave di tutti commesso contro il popolo brasiliano».

Tra lacrime, sorrisi, abbracci, strette di mano, Lula è ricevuto con grande rispetto nella cerimonia presidenziale, ma intanto anche il suo rivale in Florida – nel condominio dove è ospitato da José Aldo, ex lottatore di Ultimate Fighting Championship (UFC), è acclamato da un gruppo di fan: a ognuno i suoi onori.