Nel XXI secolo si pratica ancora la caccia al trofeo esotico, retaggio coloniale. Con danni alla biodiversità ma anche grandi sofferenze per i singoli animali: per poter esibire la testa della preda sulla parete di casa o sotto forma di tappeto, i cacciatori (tutti ricchi: un
safari costa fino a decine di migliaia di euro) non la prendono di mira, colpendo altre parti del corpo; così a volte le vittime impiegano ore a morire per le ferite.

La caccia ai trofei, secondo alcune associazioni ecologiste (riferisce il quotidiano francese Le Monde), conta a livello mondiale 200.000 animali uccisi; è una forma di turismo a parte, praticata nella savana africana come nelle steppe dell’Asia centrale o nel Gran Nord canadese. E’ purtroppo legale: la Cites vieta qualsiasi commercio di animali in pericolo di estinzione, ma autorizza i paesi firmatari a rilasciare permessi specifici per la caccia. La quale però specula sulla scomparsa delle specie: più un animale è raro più alto sarà il suo valore.

Come si legge sul sito ecologista franfocono «Reporterre», in Francia all’inizio di febbraio doveva essere votata una proposta di legge per vietare l’import export di trofei di caccia di specie minacciate di estinzione: gli animali compresi nell’allegato I e II della Convenzione Cites, per esempio ghepardo, elefante africano, lince eurasiatica, orso polare. Ma la maggioranza presidenziale blocca la proposta, malgrado la quasi totalità dei francesi voglia la fine di questa pratica. I cacciatori da trofeo in Francia sarebbero alcune centinaia; pochi ma ancora troppi.

Finlandia e Belgio hanno già detto stop. Secondo il sito «Economist at Large», la caccia ai trofei porta ben poco lavoro e reddito alle comunità locali, in particolare in Africa. Molto meglio il turismo sostenibile basato sull’osservazione degli animali selvatici. E per fortuna la caccia al trofeo è in declino.