Con abbracci e grida di esultanza i rappresentanti indigeni della Convenzione costituzionale hanno accolto l’approvazione in plenaria – con 106 voti a favore, 37 contro e 10 astensioni – dell’articolo sul diritto dei popoli originari «alle loro terre, ai loro territori e alle loro risorse». L’articolo, che entra così a far parte del testo della Costituzione che dovrà essere sottoposto a plebiscito il prossimo 4 settembre, stabilisce che lo stato dovrà mettere a punto «strumenti giuridici efficaci» per la regolarizzazione, la riparazione e la restituzione delle terre ai popoli indigeni, ai quali riconosce «il diritto a utilizzare le risorse» situate nei loro territori e «indispensabili per la loro esistenza collettiva».
Si tratta della conquista più importante ottenuta dai rappresentanti indigeni nel quadro della Convenzione, insieme all’approvazione della norma che trasformerà il Cile in uno «Stato plurinazionale e interculturale», con il conseguente riconoscimento del diritto dei popoli originari «all’autonomia e all’autogoverno».

UNA BELLA NOTIZIA che – quando mancano appena due settimane per concludere l’approvazione degli articoli – giunge in un momento complicatissimo per la Convenzione, di fronte alla crescente sfiducia verso il processo costituente rivelata dagli ultimi sondaggi: in base a quello dell’istituto Cadem, corrispondente alla terza settimana di aprile, il “Rechazo” sarebbe in vantaggio sull’“Apruevo” addirittura di nove punti.
Un dato sconcertante, considerando che era stato quasi l’80% della popolazione, il 25 ottobre del 2020, a esprimersi a favore di una nuova Costituzione che mandasse al macero quella di Pinochet «scritta da quattro generali», secondo l’espressione di Gabriel Boric. E un dato che preoccupa non poco il presidente, il cui destino è inevitabilmente legato al plebiscito del 4 marzo.
Tante le ragioni di questo disincanto: gli scontri e le polemiche tra i costituenti, la difficoltà a costruire la maggioranza dei due terzi necessaria per l’approvazione degli articoli, la scarsa capacità dei membri della Convenzione – impegnati in sessioni febbrili che si prolungano fino a mezzanotte e oltre, compresi i fine settimana – di informare la cittadinanza; la confusione sugli articoli approvati dalle commissioni tematiche, alcuni dei quali hanno generato timori e incertezze, e quelli che hanno ottenuto il via libera definitivo della plenaria; e, soprattutto, la campagna di discredito promossa dai settori conservatori, i quali, interessati a far naufragare l’intero processo, gridano contro le «pagliacciate» della Convenzione promosse a loro giudizio da un gruppo di adolescenti incautamente eletti per un compito ben più grande di loro.

E così, preoccupate dal ridimensionamento da parte dei costituenti dell’ipertrofico diritto di proprietà e di libertà di impresa a cui la Costituzione di Pinochet subordinava ogni altro diritto, le destre si sono dedicate con grande abilità al compito di diffondere fake news. Sostenendo, per esempio, che il riconoscimento dei diritti riproduttivi comporterà l’accesso all’aborto senza limiti di tempo, che le autonomie indigene provocheranno la divisione del paese, che ogni regione elaborerà le proprie leggi per conto proprio.

E CIÒ MALGRADO il fatto che la bozza quasi ultimata del testo resti ben al di sotto delle rivendicazioni più avanzate provenienti dalla rivolta sociale del 2019, come ha dimostrato la bocciatura, grazie anche ai voti del Partito socialista, dei 52 articoli presentati dalla Commissione sull’Ambiente – tra cui quello che riconosceva l’aria e l’acqua come «beni comuni inappropriabili» -, e che dovranno così tornare in plenaria in una versione necessariamente più moderata.
Eppure, con tutti i suoi limiti e compromessi al ribasso, il testo della nuova Costituzione rappresenta, come evidenzia Eugenio Rivera Urrutia della Fundación Chile 21, «un enorme passo avanti nella costruzione di uno Stato sociale e democratico di diritto», assicurando a ogni persona il diritto alla salute, all’educazione e alla sicurezza sociale e incorporando diritti, come quello alla casa, che la Costituzione del 1980 evitava persino di menzionare; introducendo meccanismi di democrazia partecipativa; avviando un reale processo di decentramento regionale (attraverso la sostituzione del Senato con una Camera delle regioni); riconoscendo i diritti della natura e l’obbligo per lo stato di proteggere la biodiversità; ponendo le basi per un nuova relazione con i popoli originari.