Ibrahim Boubacar Keita è il nuovo presidente del Mali. Con il 77% dei voti ha annientato la concorrenza guidata dal liberale Soumaila Cissé, e tre giorni fa, il 4 settembre, ha ricevuto ufficialmente l’incarico dalla Corte Costituzionale. Keita, che in Mali è conosciuto come Ibk, è l’uomo del momento, molto amato dai maliani. Classe 1945, nato nella regione di Sikasso, negli splendidi paesaggi del sud, è un uomo grande, dal viso severo e dagli occhi intelligenti. Ha studiato tra Dakar e Parigi. Laurea in storia, master in relazioni internazionali alla Sorbona, dottorato di ricerca sui paesi del terzo mondo a Parigi. E’ stato eletto presidente dell’Assemblée du Mali (il parlamento maliano) ed è stato primo ministro dal ’94 al 2000. I cartelloni pubblicitari, ancora sparsi per Bamako, lo mostrano come un padre amorevole, contornato da bambini sorridenti. Oppure come un uomo severo, ma lungimirante, con lo sguardo che va oltre l’orizzonte.

Il suo avversario invece, Soumailà Cissé, è un uomo austero, alla guida dell’Unione economica e monetaria del West-Africa da molto tempo. Nato nelle aride zone del Nord del Mali, ha incentrato la sua campagna elettorale sull’occupazione e sul rilancio dell’economia. Cissé è un ingegnere e un uomo di finanza. Sul più curioso dei cartelloni elettorali c’è la sua immagine da una parte, il viso serio e asciutto, con gli occhi incorniciati dagli occhiali, e sull’altra la sua impronta digitale grande quanto la faccia. Come a dire che è un uomo di parola, tanto che gli potete prendere le impronte.

I due si sono formati nello stesso partito politico, Adema, partito di maggioranza in Mali, che racchiude diversi partiti comunisti all’opposizione nei primi anni ’90, contrari al dittatore Moussaka Traorè. Eppure, non potrebbero essere più distanti l’uno dall’altro. Dopo aver litigato nel 2000 con Adema, Ibk ha fondato il suo partito, Rassemblement pour le Mali. Un partito socialista moderato. In questi anni Adema ha cercato vari candidati e ha puntato su Cissé fino a qualche anno fa. Ma anche Cissé col tempo ha fondato un suo partito: Unione pour la Republique et la Democratie.

Mercoledì scorso Ibk si è insediato come presidente. Il palazzo di Koulouba, la residenza presidenziale, sorge su una collina, da cui si gode una vista bellissima di Bamako, con la foresta di acacie che scende verso il caos della città e l’immenso Niger che riflette il cielo. Per arrivarci bisogna superare un posto di controllo con militari armati fino ai denti. L’ala del palazzo che accoglierà Ibk cade a pezzi e ha bisogno di una ristrutturazione. Ma pare che sarà pronta entro un anno. I due politici, invece, devono essere pronti subito. In qualche modo sono gli uomini di punta della classe dirigente maliana. E devono evitare gli errori del precedente governo: l’ex presidente Touré, caduto dopo un colpo di stato militare nel marzo 2012, non aveva nessuna opposizione e per dieci anni ha potuto gestire, male, l’amministrazione del paese. In particolare è Ibk l’uomo a cui molto maliani guardano con speranza, l’uomo appena insediatosi come presidente di uno stato economicamente debole e politicamente instabile, che deve essere subito pronto ad affrontare le sfide del paese. Tante e difficili.

La prima, la più urgente, è evitare che la Francia o le Nazioni Unite diventino i veri padroni di casa. Nel paese sono sparsi infatti 12.000 caschi blu missione Minusma, la missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite approvata dal Consiglio di sicurezza. Lo scopo: dare stabilità al paese dopo un conflitto deflagrato quando è saltato l’equilibrio in Libia, nel 2011. È allora che sono diventati più attivi molti movimenti armati. Tra questi, il Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (Mnla), un movimento laico che reclama l’indipendenza del nord del paese, l’arida regione dell’Alzawad, e che è stato protagonista del conflitto. L’esercito regolare si è dimostrato sprovveduto davanti a un contingente rodato nelle battaglie libiche. Il conflitto è presto degenerato, e al fianco di Mnla sono spuntati gruppi fondamentalisti come Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqim), il Mouvement pour l’unicité et le jihad en Afrique de l’Ouest (Mujao), Ansar Dine, che imponevano la sharia nei villaggi conquistati e che avevano come scopo il jihad. Con la battaglia nella città di Gao, i gruppi estremisti hanno preso il potere dell’area controllata da Mnla. La Francia si è resa conto che una zona di forti interessi economici (nel paese ci sono giacimenti ancora intatti dati in concessione a potenze europee, vedi il box) era stata occupata da miliziani qaedisti. Con il pretesto della protezione dei civili, è entrata in guerra, con 4.000 soldati, respingendo in pochi mesi i ribelli nelle zone di confine tra Algeria, Niger e Mauritania. Nella gran confusione della guerra il presidente Touré è stato sollevato per incompetenza e al suo posto è stato formato un governo di transizione, fino alle elezioni che hanno visto la vittoria di Ibk e del suo partito Rassemblement pour le Mali.

Oggi la situazione sembra cambiata in Mali. Formalmente, c’è un presidente socialista al governo e un’opposizione liberale. Tutti consapevoli che occorra evitare gli errori del presidente Touré, il cui governo viene descritto dai maliani come corrotto e dispotico. Tutti apparentemente soddisfatti della ritrovata stabilità. Che però è soltanto apparente: nel nord del paese continuano gli scontri, anche se a bassa intensità. E a Bamako comincia a farsi sentire il peso del «sostegno» internazionale. Gli aiuti stranieri rimangono indispensabili (3 miliardi dall’Unione europea tra il 2012 e 2013; 50 milioni di dollari dalla Banca Mondiale), anche per rispondere alle esigenze degli sfollati causati dalla guerra. Sono 400.000 le persone che hanno dovuto abbandonare le zone rurali del nord per i centri di accoglienza di Bamako. E altri sono ancora nei paesi confinanti come Mauritania e Burkina Faso. C’è chi teme però che la macchina delle emergenze internazionali – con il suo corollario di armi e soldati – possa stravolgere, se non l’ha già fatto, la fisionomia del paese. Per le elezioni di agosto sono arrivati 600 osservatori politici dell’Unione Europea, più lo staff civile delle Nazioni Unite. E in aggiunta ai militari francesi e ai caschi blu, c’è la presenza sul territorio di 1.000 soldati cinesi, 40 addestratori dell’esercito italiano e 40 mandati dalla Germania, che stanno formando l’armeé malienne per stabilizzare le zone del nord. Qualche giornalista maliano ha già avanzato l’ipotesi che Bert Koenders, il capo missione delle Nazioni Unite, possa diventare il governo ombra di Ibk. Non sarebbe la prima volta.

Se sul fronte internazionale Ibk dovrà trovare un difficile equilibrio, sul fronte interno avrà problemi altrettanto complicati da affrontare. Il governo maliano ha firmato una tregua, il 18 giugno a Ouagadougou, in Burkina Faso, con i miliziani di Mnla. L’accordo prevede che entro 60 giorni dall’insediamento del nuovo presidente il governo conceda una certa autonomia al nord. Come ha ricordato il giornale Jeune Afrique, Ibk deve concedere libertà all’Azawad pur mantenendo la centralità del governo di Bamako. E i 60 giorni iniziano proprio il 4 settembre. Che il compito non sia facile lo conferma uno degli uomini di fiducia di Ibk, candidato socialista al parlamento maliano nelle elezioni di ottobre, che preferisce mantenere l’anonimato: «L’ex presidente Touré sapeva della crisi in cui ci stavamo cacciando, ma non ha fatto niente. Ha lasciato che l’esercito andasse allo sbando per interessi personali. Oggi – aggiunge – dobbiamo risolvere i problemi di politica interna prima di ogni altra cosa, fare una riunione per parlare con tutte le etnie di delocalizzazione, e non di scissione o federazione. Assicurarci di avere un parlamento sano. E poi occuparci della presenza straniera sul nostro territorio, che non deve diventare una nuova forma di colonialismo». Per qualcuno, l’intervento armato francese dimostra che è già troppo tardi.