Mentre scriviamo non sono ancora noti i risultati finali delle elezioni in Israele, testa a testa fra i due blocchi. Ma di cosa si è discusso nelle attuali elezioni? Il dilemma, per gli israeliani, è stato solo «Bibi o non Bibi». Nemmeno il Covid. L’opposizione non ha analizzato l’alto numero di vittime dell’epidemia.

Né lo scandaloso livello di inettitudine organizzativa del governo israeliano, mentre il reuccio Bibi ha calato due carte vincenti: «Io, io ho comprato milioni di dosi di vaccini, ed ecco che l’epidemia sembra svanire… io, io vi faccio tornare alla normalità, andate al ristorante, andate a fare compere, andate in vacanza»: una promessa di ritorno alla dolce vita.

Lasciate in ombra due questioni essenziali. A parte qualche cenno occasionale, non si è discusso del dominio coloniale nei territori occupati dal 1967, con milioni di palestinesi sottoposti a un’occupazione violenta. E nemmeno della situazione economica e sociale e degli effetti di lunghi anni di neoliberismo. Corruzione? Inettitudine governativa?

La corruzione del premier lo ha portato in tribunale. Tutti i suoi atti, le sue accuse, l’incitamento al razzismo e alla violenza, il discredito gettato sui cittadini arabi, ma anche la campagna elettorale per ottenere il sostegno dei voti arabi, le continue bugie, tutta la frenetica attività del grande Bibi ha l’obiettivo di bloccare il processo, lo spettro del carcere, una macchia indelebile alla sua immagine storica.

I gravi errori del governo uscente, nella fase dell’aggravarsi dell’epidemia, hanno provocato profondi problemi economici. Piccole imprese allo stremo, esercizi chiusi e vicini alla bancarotta. Invece l’High-Tech, le grandi industrie e le catene di distribuzione prosperano. E la scuola? Disastro senza precedenti.

Per alcuni mesi, Naftali Bennett, leader di un piccolo partito religioso di destra, da ministro della difesa era stato molto attivo nella lotta alla pandemia. All’inizio della campagna elettorale, l’uomo politico – ora non più al governo – aveva attaccato con forza la condotta governativa al tempo del Covid. I sondaggi gli davano oltre 20 seggi, ma ne ha avuti 7.

Nel settembre 2019, invece, il generale Gantz, semplice e simpatico, si era assicurato la leadership dell’opposizione di centro-destra, liberale e anti-corruzione: «Non entreremo in coalizione con un premier sul quale pendono gravi accuse penali»…

Quando nel maggio 2020 ha spaccato il partito elaborando con Netanyahu un accordo che gli garantiva una staffetta al vertice alla fine del 2021, in una coalizione dubbia con la partecipazione degli stessi laburisti (che ugualmente avevano assicurato di non voler far parte della coalizione), la delusione è stata grande per chi credeva o crede ancora nella necessità del cambiamento.

Gantz, screditato, accusato e abbandonato da molti di coloro che erano con lui nella coalizione, ha ottenuto 8 seggi giurando che non farà parte del blocco «No Bibi».

Gli elettori delusi dal tradimento del partito di Gantz si sono rivolti a Bennett e poi a un leader del Likud, rivale di Netanyahu, che aveva lasciato il partito annunciando l’intento di porsi come alternativa a Bibi. I sondaggi gli assicuravano – come a Bennett – oltre 20 seggi.

Gideon Sa’ar, appartenente all’ultra-destra, era la nuova promessa degli «anti-Bibi», sostenuta da elettori di centro e forse perfino di «sinistra». Come Bennett è stato una promessa fugace; ha ottenuto 5 o 6 seggi. Occupazione? Razzismo?

Quanto ai due partiti storici della sinistra, il laburista è stato resuscitato da una coraggiosa femminista e alla guida di Meretz c’è un gay dichiarato. Quest’ultimo partito sembrava destinato alla scomparsa, ma a quel punto il suo leader si è pronunciato a favore di un’indagine su Israele da parte della Corte penale internazionale. È scoppiato un grande benché brevissimo scandalo che forse ha permesso al partito di risorgere e ottenere 5 seggi.

La Lista araba unita ha visto la defezione di Mansour Abbas, leader della fazione islamica che, sedotto da Netanyahu, ha detto che la lista non deve essere di destra o di sinistra. Abbas è un possibile candidato a sostenere Netanyahu, anche se quest’ultimo giura che non baserà la sua coalizione sul «voto arabo». Abbas con 4 o 5 seggi ha recato un notevole pregiudizio all’Unione che ne ha ottenuti solo 6.

Su queste pagine, Michele Giorgio ha spiegato il carattere nazionalista e razzista di Ben-Gvir e del suo raggruppamento di estrema destra. La loro presenza è molto grave: la loro linea è quella di non pochi membri della coalizione di Netanyahu, all’interno del suo partito o fra gli alleati religiosi.

Lo schieramento di Bibi sembra contare su 52 seggi sicuri, quello avversario (compresa la Lista araba unita) ne ottiene 56. Bennett farà il suo gioco…si autocandida a premier. Un’unica conclusione certa: la sinistra ebraica è in leggera ripresa, la promessa della Lista unita per la sinistra arabo-ebraica è indebolita, la destra è forte e il futuro cupo e problematico. Bibi può riuscire a salvare la sua coalizione.