Dopo la denuncia contro quattro ministri del governo Scholz presentata alla Corte di Karlsruhe da una famiglia palestinese lo scorso febbraio e il procedimento del Nicaragua contro la Germania pendente al Tribunale internazionale dell’Aia, arriva un altro clamoroso atto di accusa nei confronti della Bundesrepublik.

LO HANNO DEPOSITATO ieri al tribunale distrettuale della capitale gli avvocati dell’European Center for Constitutional and Human Rights (Ecchr) su mandato di cinque famiglie di Gaza a cui l’esercito israeliano ha ucciso i parenti. Nella denuncia si chiede alla magistratura di imporre all’esecutivo guidato da Spd, Verdi e Fdp lo storno immediato di tutte le forniture militari al governo di Tel Aviv approvate dopo il 7 ottobre. Alla base dell’ipotesi della complicità tedesca nei crimini di guerra a Gaza ci sarebbero tre precise violazioni commesse dalla Germania: «Siamo portati a credere che il governo Scholz non stia rispettando il trattato sul commercio delle armi, la Convenzione di Ginevra e i suoi stessi impegni sulla Convenzione sul genocidio ufficialmente assunti», specificano i legali di Ecchr appoggiati da altre tre ong: il Centro palestinese per i diritti umani e il Centro Al Mezan di Gaza più Al Haq di Ramallah.

Così i ministri-chiave della coalizione Semaforo finiscono nuovamente sul banco degli imputati per le responsabilità dirette e non li salva dall’incriminazione che il denunciante non risieda in Germania ma «viva» nell’inferno di Gaza con ciò che resta della famiglia. Si chiama Abdalrahman Jumaa, ha 32 anni, e racconta su Der Spiegel di quando il 20 febbraio a Rafah stava giocando con sua figlia Kenzi di appena 14 mesi. «Ero appena uscito di casa. Ci hanno bombardato all’improvviso. Mia figlia è stata uccisa subito insieme ad altri quattro parenti», è la sua testimonianza che inchioda la Germania nel ruolo di spalla fondamentale del governo Netanyahu (dopo gli Stati uniti è il primo fornitore di armi a Tel Aviv) anche sotto il profilo politico.

«SPERO che Berlino sospenda subito le esportazioni verso Israele. I tedeschi devono fermare questo bagno di sangue», è l’appello di Jumaa ai giudici di Berlino. Come se non bastasse, nella denuncia gli avvocati fanno notare come Jumaa rischi la vita «in qualunque momento» poiché «nessun luogo è sicuro a Gaza». Finora il governo Scholz si è sempre difeso assicurando che le armi made in Germany servono alla difesa di Israele e non vengono usate nel massacro di Gaza.

«La licenza per l’esportazione di 3mila armi anticarro è stata concessa dal governo Scholz dopo il 7 ottobre. Non sappiamo se lo stock sia già stato consegnato dal produttore a Israele. Ovvio però che le armi tedesche siano o possano essere usate nella Striscia di Gaza. Oltretutto, le forze armate israeliane sono equipaggiate con armi prodotte e fornite dalla Repubblica federale, in particolare missili anticarro portatili non guidati», la contestazione di Wolfgang Kaleck, segretario generale dell’Ecchr appoggiato dall’avvocato berlinese Remo Klinger. E Kaleck impartisce una lezione di diritto al governo Scholz: «Il prerequisito fondamentale per la politica estera tedesca basata sulle regole e orientata ai diritti umani è il rispetto del diritto nel proprio processo decisionale. In altre parole, la Germania non può rimanere fedele ai suoi valori se esporta armi in una guerra in cui sono evidenti gravi violazioni del diritto internazionale umanitario».

TUTTO NELLO STESSO giorno in cui la polizia tedesca arresta il medico anglo-palestinese Ghassan Abu Sittah, invitato a una conferenza sulla Palestina a Berlino. «Denied entry» è la scritta stampata sul passaporto. «Ero stato invitato per parlare del mio lavoro negli ospedali di Gaza. Ma il governo tedesco mi impedisce con la forza di entrare nel Paese» conferma il dottore su X. Un testimone scomodo in Germania. Abu Sittah ha accusato l’esercito israeliano di usare fosforo bianco in aree edificate densamente popolate come Gaza e di prendere deliberatamente di mira i bambini. Fin dalle prime settimane dall’invasione israeliana il medico è diventato volto noto anche in Germania come portavoce ufficioso in lingua inglese dei chirurghi palestinesi che curano i feriti sopravvissuti ai bombardieri di Tel Aviv.