Una storia d’amore semplice e complicata come tutti gli amori possono essere. Asako, timida studentessa di Osaka incontra Baku, bello e misterioso a una mostra fotografica, è un colpo di fulmine, il mondo intorno a loro non esiste più con l’assoluto che solo il grande amore fa sognare. Ma a lui piace sparire all’improvviso finché una volta sarà per sempre. Due anni dopo la ritroviamo cameriera in un caffé di Tokyo, è lì che vede Ryohei, giovane impiegato in una ditta di sakè, è uguale a Baku al punto che la ragazza è convinta di averlo finalmente ritrovato. Ma Ryohei è buono, limpido, la ama senza detour né inganni, un amore fiducioso, protettivo, che il tempo non intacca, quell’amore che può anche spaventare, che rassicura troppo, quell’amore che si deve mettere alla prova tra le crepe della vita, dei tradimenti, delle fughe, dei ripensamenti.

Quell’amore che quando tutto sembra perfetto si può distruggere in un attimo perché se resiste non sia mai scontato. Asako I e II dal nome della sua protagonista, è l’esordio sulla Croisette di Ryusuke Hamaguchi, regista giapponese quarantenne con una lunga filmografia alle spalle, tra cui Sense, cinque ore per esplorare i cambiamenti nell’amicizia tra due coppie dopo la separazione di una di loro, e Happy Hour (2015) premiato al festival di Locarno per la migliore attrice, finora l’unica bella sorpresa tra i nomi del «rinnovamento» annunciato da Thierry Frémaux alla conferenza stampa.

Ma cosa significano i due capitoli del titolo? Più che un prima e un dopo questo romanzo di formazione mette al centro l’ossessione primaria della cultura giapponese, il fantasma cioè dell’età adulta, di una «maturità» che corrisponde a regole, che chiede impegno, che investe ciascuno di enormi sforzi. Asako è felice nella sua storia con Ryohei, il primo abbraccio tra loro avviene la notte del terremoto di Fukushima, un ritrovarsi di reciproco sostegno, di progetto, di amore che è anche quotidiano, che include oltre l’assoluto della giovinezza. Ci sono i gesti condivisi, la vita comune, gli amici che avranno presto il primo bambino, l’impegno a favore delle vittime del terremoto e delle cittadine distrutte.

 

C’è pure l’irrequietezza segreta di Asako, una ricerca di sé che oscilla tra presente e passato, come se la nostalgia del primo amore, per cui è disposta di nuovo a abbandonare tutto, la sua personalissima fortezza contro quell’idea dominante della crescita, per tornarci di nuovo, forse più consapevole, in un finale che sotto la pioggia, alla ricerca di un gatto cita Colazione da Tiffany. E del resto: non è anche quello un film sui cambiamenti delle relazioni?

Asako I e II è profondamente immerso nell’immaginario del Sol levante, in quello «scontro» che oppone la precarietà del contemporaneo alla rivendicazione di certezza che sia personale, sociale, economica, di status, che si confronti con le grandi tragedie – la ferita dello tsunami sepolta da qualche parte – o con i drammi personali. Possiamo detestare Asako o condividere le sue fragilità, amarla, ed è in questa suo essere senza certezze che Hamaguchi fonda il proprio gesto del filmare, la confusione e la scoperta, una tensione costante che soffia nei fotogrammi, l’amore per i personaggi, anche quelli non principali, le tracce disseminate qua e là di una crisi (Ibsen a teatro…). E’ qui che coglie senza teoremi arroganti, esitazioni comprese, l’esistenza, il suo flusso inconstante, la condizione impalpabile che è la grana della vita e dell’immagine.