L’oceano copre il 70% della superficie terrestre ed è una risorsa indispensabile per l’alimentazione, il trasporto, l’energia, la biodiversità globale e la stabilità del clima. Sappiamo tutti però che questa risorsa così vitale è in grave sofferenza, attaccata su più fronti.

SECONDO UN RAPPORTO SVILUPPATO da Ioc-Unesco le criticità degli oceani oggi riguardano più aspetti: la perdita di habitat, che porta con sé il rapido declino delle barriere coralline, delle praterie di fanerogame marine e delle zone umide costiere; la perdita di ossigeno, che si attesta intorno al 2% dal 1960, e che probabilmente non ha precedenti nella storia recente della Terra; le alterazioni delle reti alimentari, con cambiamenti nella struttura delle comunità bentoniche e un calo di zooplancton che influisce sulla produzione ittica commerciale; l’inquinamento da plastica che ha invaso i fondali fino a una profondità di oltre 6000 metri; il continuo aumento dell’acidificazione delle acque, tanto che si prevede che il pH della superficie dell’oceano aperto diminuirà di circa 0,3 unità entro il 2081-2100; il tasso di innalzamento medio globale del livello del mare, che ha subito un’accelerazione passando da 2,1 mm/anno nel periodo 1993-2002 a 4,7 mm/anno nel periodo 2013-2021.

TUTTAVIA, IL PRINCIPALE rischio di estinzione per la biodiversità marina rimane la pesca, sia direttamente sia per le catture accessorie e gli impatti della pesca a strascico sugli habitat dei fondali. Una situazione sempre più allarmante e difficile da gestire per il comportamento dei grandi pescherecci che spesso sono noncuranti della grave situazione ambientale e delle misure che provano a tutelarla. L’ultima notizia riguarda un nuovo studio reso noto da Oceana, una Ong internazionale impegnata nella conservazione degli oceani, che riferisce di gigantesche flotte di pescherecci d’altura, provenienti principalmente dalla Cina, che, per eludere il rilevamento, spengono i loro Ais (dispositvo di localizzazione) mentre sono impegnate nella pesca illegale di specie commerciali (in particolare calamari) ai margini delle vaste zone pescose dell’Argentina.

MONITORANDO LE NAVI TRA GENNAIO 2018 e aprile 2021, Oceana ha contato oltre 6.000 casi in cui questi pescherecci si sono «oscurati», rimanendo nascosti per oltre 600 mila ore. Presumibilmente, secondo Oceana per entrare nelle acque territoriali Argentine e pescare illegalmente. Quasi il 66% delle navi «oscurate» erano jigger per calamari battenti bandiera cinese, mentre il 6% erano spagnole. D’altro canto però i pescherecci spagnoli che strascicano il fondale marino per catturare specie come il nasello argentino e i gamberi rossi si sono «oscurati» più spesso delle navi cinesi. Una situazione, questa, che non è certo nuova e che è stata denunciata più volte dalle Organizzazioni ambientaliste anche nel nostro Mediterraneo.

«LO STRETTO DI SICILIA – dice Domitilla Senni di MedReAct – è una delle zone con la più alta incidenza di pescherecci che operano senza Ais, il sistema che consente una tracciatura pubblica e quindi la trasparenza delle attività di pesca. Si tratta di un’area, quella denominata del Mammellone, storicamente molto conflittuale che ha visto in passato scontri tra pescherecci tunisini e siciliani, ma che ospita anche habitat e specie vulnerabili. L’unica soluzione è l’istituzione di una Fisheries Restricted Area (Fra) nel Canale di Sicilia, perché le Fra contribuiscono davvero alla tutela degli ecosistemi». Lo dimostrano i risultati ottenti nella Fra della Fossa di Pomo in Adriatico, zona sovrasfruttata, che, dietro la spinta di MedReAct e dell’Adriatic Recovery Project, dal 2017 è chiusa alla pesca e tutelata. Una misura positiva che ha innescato un processo rigenerativo sull’ecosistema circostante e sull’economia della pesca.

PER PROVARE A FAR FRONTE alla complessità di tutte queste tematiche si terrà il 16 e 17 aprile la nona edizione della Conferenza internazionale Our Ocean, che quest’anno sarà ospitata dalla Grecia. In questa sede, sarà presentato un documentario prodotto da MedReAct e firmato dai registi Francesco Cabras e Alberto Molinari, proprio sul successo dell’istituzione della Fossa di Pomo e sul processo virtuoso innescato dalla misura. «L’obiettivo – dice Senni – è promuovere l’istituzione di una rete di Fra in tutto il Mediterraneo, a partire dal Mammellone e dal Canale di Otranto».

LANCIATA PER LA PRIMA VOLTA nel 2014 su iniziativa del Dipartimento di Stato Usa, Our Ocean è diventata un forum di dialogo che riunisce governi, organizzazioni internazionali, mondo accademico, settore privato e Ong che condividono una visione per la protezione degli oceani. Finora la conferenza è riuscita a raccogliere più di 2.160 impegni per un valore di quasi 130 miliardi di dollari, distribuiti nelle sei aree tematiche affrontate: aree marine protette; economia blu sostenibile; nesso tra clima e oceani; sicurezza marittima; pesca sostenibile; turismo sostenibile. Nell’edizione scorsa, tenutasi a Panama, sono stati assunti 341 nuovi impegni pari a un valore stimato di 19,9 miliardi di dollari.

LA CONFERENZA CONTRIBUIRÀ alla preparazione della Terza Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani (Unoc) che si terrà in Costa Rica nel giugno 2024 e soprattutto alla Terza Conferenza delle Nazioni Unite che si terrà a Nizza nel giugno 2025. Il fine è di avviare la necessarie azioni a sostegno dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 14 dell’Agenda 2030: «Conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine».