Acua e fogu no cappinti logu: acqua e fuoco non stanno in un posto. È con un detto sardo che Tullio Murgia – proprietario di una azienda agricola di Feraxi, fra le più colpite del Sarrabus dagli incendi del weekend – spiega l’incontenibilità e l’imprevedibilità del fuoco contro il quale per due giorni, e ancora ieri, ha lottato con la famiglia, i vicini, i colleghi, per salvare i suoi alberi di arance e clementine. Venticinque ettari, circa novemila piante che caratterizzano buona parte del paesaggio e dell’economia di questa parte di Sud Sardegna affacciata sul mare e attraversata dagli animali al pascolo. Un cipresso di 25 metri si staglia, quasi del tutto carbonizzato, al fianco della casa che la famiglia Murgia ha appena adibito a piccolo b’n’b – «quest’anno papà si era finalmente convinto a fare i lavori necessari» dice la figlia Paola -: le due coppie di ospiti evacuate nella notte mentre il fuoco raggiungeva quasi la porta d’ingresso. Restano le nuvole basse di fumo che si alzano dalla terra, da sotto la cenere, dove cova il fuoco pronto a riaccendersi. E l’odore di bruciato che loro non sentono neanche più ma che colpisce subito chiunque arrivi da “fuori”.

CHI VIENE DA GIÙ, da Cagliari, per raggiungere i terreni dei Murgia passa da San Priamo, il minuscolo centro abitato che è la “porta di ingresso” nel Sarrabus, attraversato dalla strada statale 125 dove fermano le corriere che portano in paese – da una parte i bar, dall’altra la chiesa come nel vecchio West. Al bar ristorante Su Crogallu tutti gli avventori della tarda mattina di ieri – e tutti quelli che conoscono – hanno partecipato ai tentativi di placare le fiamme che nella notte di sabato si vedevano levarsi nei campi dietro il paese: «Alte come il campanile della chiesa» ci dice la moglie del proprietario Marinella Meloni. Nel day after del weekend apocalittico tutti sono certi di una cosa: «Se non fosse per la disponibilità dei civili mezza Sardegna sarebbe bruciata», come sostiene Luigi Frigau, imprenditore edile di Burcei e «agricoltore per passione».

A far fronte alle fiamme (mentre la notte canadair e elicotteri non possono levarsi in volo) solo autocisterne da 200 litri – «A malapena ci spegni un barbecue» – pochi uomini, donne e mezzi di protezione civile, forestale, vigili del fuoco impegnati a far fronte all’emergenza anche nella vicina Porto Corallo.

Sul movente degli incendi appiccati, come sempre in una notte di maestrale che rende incontenibili le fiamme, si fanno molte teorie, quasi ognuno ha – o fa capire di avere – la sua. Nessuno saprebbe rispondere con certezza alla domanda: cui prodest? Ma su una cosa c’è totale accordo: non le pene esemplari discusse nel parlamento di Roma ma proprio la atavica mancanza di mezzi per far fronte a un’emergenza che è la costante delle estati nell’Isola. Tutti hanno un aneddoto su un altro anno, un’altra catastrofe, un’altra notte in cui il crepitio delle canne di bambù fatte esplodere dalle fiamme lungo l’alveo del rio Picocca fanno pensare in un primo momento a uno scontro a fuoco.

E quasi tutti, ancora una volta, hanno perso qualcosa. Altre aziende di agricoltori e pastori di Feraxi sono riuscite a salvare solo il bestiame, mucche, pecore, mentre tutte le provviste di foraggio – necessarie per sfamare quegli stessi animali – sono andate distrutte. Calcolare l’entità dei danni è ancora impossibile. «A colpo d’occhio saranno bruciate un migliaio di piante» ci dice Tullio Murgia che da sabato ancora non si è mai fermato, che continua a girare fra i suoi agrumeti per spegnere ogni lingua di fuoco pronta a rialzarsi dalla terra, ma che per tutti quelli che arrivano a dimostrargli solidarietà, chiedere come va, osservare il disastro in prima persona ha in serbo, come le figlie Paola e Giulia, un sorriso. La vera entità dei danni, ci spiegano, sarà chiara solo nei mesi a venire, quando si capirà quante di quelle piante che sembrano ancora verdi e sane sono in realtà già come morte, con le radici distrutte dal calore.

Al comune della vicina Muravera, il paese di cui Feraxi è frazione, il telefono è offline. Raggiunto al cellulare il primo cittadino Salvatore Piu – che domenica ha dichiarato lo stato di calamità – si limita a dirci, con voce stanca, che si trova dai carabinieri a sporgere denuncia. Contro ignoti. Intanto, tutto intorno alla proprietà dei Murgia gli eucalipti frangivento sono anneriti dal fuoco, mentre lungo la strada da San Priamo molti sono collassati, scoprendo i campi retrostanti ridotti in cenere. In cielo un costante svolazzare di rondini, che hanno perso il senso dell’orientamento e volano basse, “come ubriache”.

Il fuoco non ha un posto, ma neanche un tempo: promette il suo continuo ritorno senza che vengano mai messe in piedi le strutture necessarie per affrontarlo.