Evidentemente non abbastanza intimoriti dalle conseguenze degli atti golpisti di domenica, i bolsonaristi non hanno esitato a convocare, nel pomeriggio di ieri, una mobilitazione (non ancora iniziata nel momento in cui scriviamo) pomposamente battezzata “Mega Manifestação Nacional pela Retomada do Poder”.

La “riconquista del potere”, però, dovrà probabilmente attendere. Ricardo Capelli, il segretario esecutivo del ministero della giustizia incaricato della sicurezza a Brasilia, ha disposto la chiusura per tutta la giornata dell’Esplanada dos Ministérios, parallelamente alla decisione del ministro della Corte suprema Alexandre de Moraes di vietare, oltre all’accesso dei manifestanti a edifici pubblici, anche interruzioni del traffico in tutto il territorio nazionale, e a quella del ministro della giustizia Flávio Dino di prorogare l’impiego della Forza nazionale di sicurezza pubblica a Brasilia fino al 19 gennaio.

Si suppone, peraltro, che i militari faranno più attenzione, stavolta, a non fraternizzare troppo esplicitamente con i manifestanti, considerando che Lula, nella riunione di lunedì con il ministro della difesa José Múcio e con i comandanti delle forze armate, ha sì rinnovato la sua fiducia nei vertici militari, ma lasciando chiaramente intendere che non accetterà più esitazioni nella lotta in difesa della democrazia.

Quanto ci sia da fidarsi è lecito dubitare: dopotutto il ministro Múcio, voluto da Lula proprio per tendere una mano ai militari, non aveva esitato a definire gli accampamenti di fronte alle caserme come «manifestazioni democratiche», dichiarando che ne facevano parte anche suoi amici e parenti. Ma se la de-bolsonarizzazione delle forze armate è un compito che prima o poi dovrà essere portato a termine, non è questo, secondo Lula, il momento per aggravare la crisi istituzionale.

Intanto, però, è arrivato, da parte dello stesso Alexandre de Moraes, l’ordine di arresto per l’ex ministro di giustizia di Bolsonaro e poi segretario di sicurezza pubblica del Distretto federale Anderson Torres, colpevole di aver lasciato sguarnita la segreteria di pubblica sicurezza e di essersene andato negli Stati uniti, come Bolsonaro. Già rimosso dall’incarico dal governatore Ibaneis Rocha – a sua volta sospeso per tre mesi per condotta omissiva – Torres ha annunciato che interromperà le ferie per presentarsi alla giustizia e predisporre la sua difesa.
Un ordine di cattura è stato emesso anche nei confronti dell’ex comandante generale della polizia militare di Brasilia Fabio Augusto Vieira, anche lui sollevato dall’incarico insieme a tutti i vertici delle forze di sicurezza della capitale.

Che non voglia far sconti, del resto, Lula è tornato a ribadirlo anche durante una riunione con i presidenti del Senato e della Camera, Veneziano Vital do Rêgo e Arthur Lira: «Qualunque gesto contrario alla democrazia sarà punito con tutti i rigori della legge».

Dall’altro versante, quello golpista, il livello di belligeranza resta tuttavia molto alto. Martedì, come se nulla fosse, Bolsonaro ha condiviso sulla sua pagina Facebook un video in cui il procuratore del Mato Grosso do Sul Felipe Gimenez afferma che Lula non sarebbe stato eletto dal popolo ma dalla Corte suprema e dal Superiore tribunale elettorale. Mentre l’ex vicepresidente Hamilton Mourão ha denunciato la «detenzione indiscriminata di oltre 1.200 persone», paragonando le violenze commesse dai bolsonaristi alle occupazioni del Movimento dei Senza Terra. E prima di lui Sergio Moro aveva accusato Lula di essere «più preoccupato di reprimere le proteste che di offrire risultati».