Hong Sang-soo è un regista inarrestabile, fare film per lui è un gesto che non può essere mai rinviato, che non si impiglia nelle incertezze produttive o in quegli ostacoli che bene conoscono i cineasti ovunque nel mondo. Lui procede, grazie anche a un gruppo di lavoro che lo accompagna ormai da anni, e questa sua creatività continua non si arena mai nella ripetizione. Se in ogni film ritroviamo personaggi, conversazioni, posti a lui cari – e i suoi iconici attori – le storie cambiano, dentro a questa «riconoscibilità», e con loro muta il modo in cui attraversano il tempo e e gli spazi sentimentali in cui prendono forma. Ma senza perdere la luminosità interiore, quella magia che appunto le rende uniche – sia che l’autore le ambienti a Parigi, in Corea, in Germania, persino a Cannes durante il festival – come accade in un film che ha una interprete quale Isabelle Huppert.
In front of your face – presentato nella neonata sezione Cannes Premiere – segue questa stessa traiettoria, vi ritroviamo i paesaggi del regista, i piccoli bar, le infinite bevute, i caffè davanti al fiume, e gli stati d’animo sospesi tra due mondi, tra diverse realtà , tra il passato e il presente, la malinconia di ciò che si è lasciato e la piccola gioia di ritrovarne dettagli che si credevano perduti per sempre.

UNA DONNA è tornata in Corea dopo molti anni in America, ospite della sorella , sembra ritrovare il piacere di stare nel suo Paese. Presto nonostante l’affetto che mostrano reciprocamente appare chiaro però che la sorella minore le porta rancore per la sua lontananza, le rimprovera di non essere tornata mai a trovarli. Le due donne scoprono anche di non sapere nulla l’una dell’altra: come hanno vissuto, ciò che hanno provato in questo lungo periodo. E alla domanda della sorella minore perché non compri un appartamento qui, l’altra risponde che non ha soldi, non ha risparmi, confida la difficoltà della sua esperienza americana celata dietro all’eleganza del fisico sottile, e al fascino di una presenza da attrice – che era stata prima di abbandonare tutto. In quella visita la donna cerca le tracce del passato, insegue la nostalgia nella casa dove abitava da bambina, ritrova l’adorato nipote ormai cresciuto, che ora gestisce un piccolo bar, si promette al mattino di gioire della bellezza, dei sapori, del piacere degli incontri. Nella sua serenità sembra però nascondere qualcosa, un segreto.

UN REGISTA più giovane insiste per averla nel suo film, adora la «purezza» che emanava dallo schermo. Nel bar i due parlano, mangiano (poco) bevono (molto, e lei confida all’uomo qualcosa di molto intimo, il film non potrà farlo perché non ha tempo, non per eccesso di impegni, è il tempo per la vita che le manca, la sua Morte al lavoro che questo è il cinema, o vita che si imprime sull’immagine, che ferma la presenza nella ripetizione oltre il tempo , che replica e si fa memoria, che dice il passato e racchiude il futuro. Il volto della donna si fa specchio di questa essenza profonda del mezzo: un film sul cinema, e sul potere di inventare mondi delle immagini, anche questa non è la prima volta, la riflessione attraversa in modo sottile l’opera intera del regista coreano, che la sorprende però ancora una volta in una nuova epifania.