Senza troppe sorprese, l’Assemblea nazionale del popolo cinese ha approvato un progetto che prevede modifiche al sistema elettorale di Hong Kong. Con 2.895 voti a favore, zero contrari e un’astensione, il massimo organo legislativo cinese ha segnato nella giornata di ieri un cambiamento radicale nel sistema delle consultazioni dell’ex colonia britannica, marginalizzando l’opposizione pro-democrazia e riducendo il numero di rappresentanti eletti dal popolo.

COME LO SCORSO ANNO, quando la chiusura dei lavori delle sessioni plenarie ha portato all’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale, con 2.878 voti favorevoli, sei astensioni e uno solo contrario, l’alto consenso evidenzia il forte sostegno al Pcc. L’intento è quello di assicurare e garantire fedeltà a simboli e idee, che rappresentano il sentimento patriottico cinese, e al Partito guidato da Xi Jinping. Sono passati 24 anni da quando Hong Kong è passata dal controllo inglese a quello cinese ma, sebbene gli hongkonghesi non abbiano goduto di una democrazia durante la parentesi coloniale, la città ha potuto vantare una condizione di privilegio rispetto alla Cina continentale.

SCRITTO NERO SU BIANCO e concentrato nella dottrina «un paese, due sistemi», il particolare status di Hong Kong sarebbe dovuto rimanere in vita fino al 2047, assicurando il suffragio universale per le elezioni del governatore della città. Ma sembra che Pechino abbia accorciato ulteriormente la distanza temporale che separa il 2021 dal 2047, quando Hong Kong sarà parte integrata della dimensione sociale, culturale e politica cinese. Per Pechino è necessario riformare il sistema elettorale per colmare quelle lacune che hanno permesso l’infiltrazione di elementi destabilizzanti anti-cinesi, che minacciano la sovranità, la sicurezza, gli interessi della nazione e la Basic Law, la mini-costituzione locale.

IL PARTITO COMUNISTA, a cui viene concesso il potere di veto grazie all’istituzione di un Comitato di revisione delle qualifiche dei candidati, ha per questo deciso di modificare le dimensioni, la composizione e il metodo di formazione della Commissione elettorale: con l’aggiunta di 300 delegati provenienti dalla Conferenza consultiva del popolo (che formano un quinto settore, dominato dai lealisti di Pechino, per rafforzare i raggruppamenti economici, professionali, sociali e politici già esistenti), la Commissione sarà di 1500 membri, rispetto ai precedenti 1200. Al suo iniziale compito di scegliere il leader locale, si affianca quello di nominare ed entrare nella lista dei candidati in corsa per il Legislative council, il Consiglio legislativo che passa da 70 seggi a 90.

D’altro canto, il Chief executive, una figura «patriottica» alla guida della città, dovrà ottenere un ottavo dei voti dei membri della Commissione elettorale, ovvero 188 preferenze rispetto alle precedenti 150, tra le quali 15 voti favorevoli provenienti da ciascuno dei cinque settori: è una misura finalizzata a impedire che il futuro leader della città non riceva una maggioranza di consensi da uno o due dei cinque gruppi della Commissione elettorale. Per regolamentare le attività elettorali non è necessario modificare la Basic Law, ma basta introdurre gli emendamenti all’allegato 1 (Metodo per la selezione del capo dell’esecutivo) e all’allegato 2 ( Metodo per la formazione del Consiglio legislativo) della Legge fondamentale.

LA MISURA È SOSTENUTA dalla numero uno dell’esecutivo di Hong Kong Carrie Lam, così come dal premier cinese Li Keqiang, che la considera fondamentale per migliorare la struttura del principio «un paese, due sistemi». Ma giungono le prime critiche dalla comunità internazionale, con il ministro degli Esteri britannico Raab che valuta la riforma elettorale come un ulteriore passo fatto da Pechino per ridurre lo spazio democratico ad Hong Kong, e la richiesta di 24 attivisti della città portuale presentata alla presidente della Commissione Ue Von der Leyen per non ratificare il CAI, l’accordo di investimenti Ue-Cina.