Resta avvolto nell’incertezza l’esito delle elezioni presidenziali che si sono svolte ieri in Honduras. L’unica cosa certa è che, dopo aver conquistato il potere con un golpe – quello che nel 2009 rovesciò il governo di Manuel Zelaya, l’odiato «traditore» della sua classe di appartenenza –, l’oligarchia honduregna, rappresentata per l’occasione dall’attuale presidente Juan Orlando Hernández del Partido Nacional, farà di tutto per non cederlo, tanto meno nelle mani del presentatore televisivo di origine libanese Salvador Nasralla, candidato di quella che ha preso significativamente il nome di Alleanza di opposizione contro la dittatura (coordinata proprio dall’ex presidente destituito).

Così, dopo aver diffuso, con un ritardo già molto sospetto, i primi dati ufficiali – che, con il 57% dei seggi scrutinati, davano in vantaggio Nasralla di circa 5 punti su Hernández – il Tribunale Supremo Elettorale, controllato dal governo, ha avvertito di non poter contare su dati sufficienti per pronunciarsi sui risultati, assicurando di poterlo fare «al più tardi giovedì», quando la maggior parte degli osservatori internazionali venuti a vigilare elezioni considerate ad altissimo rischio di frode sarà tornata nei rispettivi paesi. Poi, dopo tale annuncio, solo uno sconcertante silenzio.

Che, del resto, fossero elezioni viziate sul nascere era risultato chiaro già con il via libera della Corte Suprema di Giustizia alla ricandidatura del presidente Hernandez – malgrado la Costituzione dell’Honduras non consenta un secondo mandato – con due contestatissime sentenze sull’inapplicabilità dell’articolo 239 della Costituzione relativo al divieto della rielezione (non prima, sia chiaro, della destituzione di quattro magistrati dissenzienti).

E quanto il clima sia stato teso nei giorni precedenti alla giornata elettorale – trascorsa invece, secondo gli osservatori, in maniera tranquilla e trasparente – lo hanno dimostrato anche i tanti atti di ostilità nei confronti sia degli osservatori internazionali invitati dall’opposizione che dei giornalisti provenienti in particolare dal Venezuela, dal Nicaragua e da El Salvador.

Senza contare la fantasiosa denuncia di una presunta ingerenza del governo di Nicolás Maduro, accusato di aver inviato agenti sotto copertura con l’obiettivo di generare il caos nel paese. Ne ha fatto le spese anche il gruppo musicale venezuelano Los Guaraguao, che, invitato da Nasralla, è stato trattenuto per ore alla frontiera e poi espulso.