Il 22 gennaio 2018 Ramón Fiallos, coordinatore del nucleo comunitario del Movimiento Amplio por la Dignidad y la Justicia (Madj) ad Arizona, nel dipartimento di Atlántida, in Honduras, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco.

Stava partecipando all’occupazione della carretera CA-13, una delle sessanta censite a partire dal 20 gennaio, e promosse dall’Alleanza di Opposizione e dai movimenti che contestano la rielezione di Juan Orlando Hernandez alla presidenza del paese centroamericano. Nella notte tra il 22 e il 23, invece, a Pajuiles è stato ucciso Geovanny Díaz, prelevato a forza dalla sua abitazione.

Anche lui era un membro del Madj. Secondo la denuncia della Plataforma del Movimiento Social y Popular de Honduras, la repressione avrebbe già causato oltre 30 vittime. Oggi Hernandez giurerà per la seconda volta, in un contesto «caratterizzato da una profonda polarizzazione tra le due forze che il 26 novembre hanno partecipato alle elezioni presidenizali, il Partito nazionale di Hernandez e l’Alleanza di opposizione contro la dittatura guidato da Salvador Nasralla – come spiega Gustavo Irias, direttore esecutivo del Cespad, Centro studi per la democrazia. Polarizzazione che ha aperto la più grave crisi politica che l’Honduras abbia vissuto negli ultimi 50 anni».

Che cos’è successo in questi due mesi?
Il governo uscente ha fatto ricorso a un’ampia militarizzazione, e ha invitato l’opposizione a un dialogo che però è un monologo, perché cerca fondamentale di assicurare a Hernandez la legittimitazione come presidente eletto nell’ambito di una terribile frode elettorale, scandalosa e documentata dalla missione di osservazione dell’Organizzazione degli stati americani (Osa). Tutto questo è figlio del tentativo di rielezione ileggitima del presidente uscente: una parte della popolazione considera quello che è accaduto il 26 novembre 2017 una frode nei confronti dell’Alleanza, alimentando una polarizzazione mai vista».

Che ruolo hanno giocato l’Ue, l’Osa e gli Usa?
«L’Ue è rapidamente uscita di scena, lasciando spazio alla potenza egemonica regionale, gli Usa che considerano il centro America il proprio il patio trasero. L’Osa ha mantenuto inizialmente ferma la propria posizione, espressa in modo fermo ma con linguaggio diplomatico nel proprio rapporto, che riconosceva l’impossibilità di stabilire chi avesse vinto, e per bocca del proprio segretario Luis Almagro avanzò addirittura la proposta di ripetere le elezioni presidenziali, come unica via d’uscita. Il 22 gennaio, però, un comunicato annuncia la volontà di cooperare con il governo eletto in Honduras, mostrando così di mantenere un ruolo subordinato alla politica estera Usa. Nonostante quanto è scritto nel rapporto della missione di osservazione, l’Osa ha deciso di seguire la politica del governo Usa, del soggetto cioè che ha deciso e legittimato questo processo elettorale fraudolento, riconoscendo la vittoria di Hernandez. Ciò che sarebbe avvenuto è apparso chiaro a tutti, quando il 5 dicembre gli osservatori dell’Osa e della Ue hanno abbandonato il ruolo di garanti del processo elettorale, lasciando al centro della scena gli USa, che avallano ogni decisione ed atto del Tribunale supremo elettorale.

Qual è, alla vigilia dell’inizio del secondo mandato di Hernandez, la forza del movimento d’opposizione?
Sabato 20 gennaio l’Alleanza ha promosso uno sciopero nazionale, che si è rinnovato anche nei giorni 25, 26 e 27 gennaio, che è il giorno in cui entra in carica Hernandez. Quando parlo di paro nacional non intendo scioperi nelle fabbriche, ma l’interruzione delle vie pubbliche: l’obiettivo è quello di paralizzare l’economia. Il 20 gennaio ci sono state mobilitazioni in 12 dei 18 Dipartimenti del paese, che continuano ancora, in maniera spontanea (qui sono maturati i due omicidi di cui abbiamo scritto all’inizio dell’articolo, ndr). Ciò che emerge, durante queste azioni sono gravi violazioni dei diritti umani: a controllare la protesta non è la polizia, ma la polizia militare di ordine pubblico, un’unità che Hernandez ha creato dall’esercito, con 4.300 uomini. Viviamo in una logica di guerra, con una forte presenza di forze armate nei luoghi storicamente teatro di azioni, e con la persecuzione sistematica dei leader sociali anche nelle proprie case, senza ordine di cattura né di perquisizione, e repressione anche nei confronti dei giornalisti. Il 20 gennaio il regime ha iniziato a usare la figura del «terrorismo», applicandola a 11 persone, catturate e portate in prigione.