«La domanda da cui siamo partiti è come ci si senta a essere una delle persone più note della politica americana e al contempo venire percepita dalla gente come una sconosciuta» spiega Nanette Burstein, la regista di Hillary, miniserie documentaria sull’ex segretaria di Stato e avversaria di Donald Trump, presentata in Berlinale Special alla presenza della stessa Clinton. «Le persone – continua Burstein – le affibbiano identità diversissime tra loro, la dipingono come un mostro o al contrario la santificano. Quindi la premessa del nostro lavoro è chiedersi chi sia realmente questa persona». Domanda a cui la serie cerca una risposta partendo dall’infanzia di Clinton – che in Hillary si presta a una lunga intervista con la regista – e ricostruendo parallelamente la sua biografia e la campagna del 2016 per la presidenza. Questo documentario però, osserva Clinton, «non riguarda solo la mia vita ma quella delle donne negli Stati uniti, un arco di storia del nostro paese, la politica, le sfide…». Attraverso la vita di Clinton Burstein ripercorre infatti la storia americana a partire dagli anni sessanta, quando la sua protagonista inizia a fare politica al college e in seguito diventa una delle poche studenti di legge a Yale.

NEL PIENO delle primarie democratiche, a Berlino l’ex candidata viene interpellata sulla possibilità di nominare «un socialista», il suo ex avversario Bernie Sanders. Ma Clinton – che pure nel documentario spende parole dure nei suoi confronti, definendolo un politico di carriera che in tanti anni al Senato non ha concluso nulla – non devia mai dalla diplomazia: «Aspetterò di vedere chi nomineremo e supporterò il nostro candidato. L’imperativo è mandare in pensione l’attuale presidente». L’ex Segretaria di Stato è invece propensa a parlare delle donne in corsa alle primarie, come Elizabeth Warren e Amy Klobuchar: «Quando ho partecipato alle primarie ero l’unica donna: tutte le opinioni, i pregiudizi e le aspettative delle persone erano puntate su di me. Per questo mi auspicavo che in futuro ci sarebbero state più candidate, in modo da normalizzare la cosa e superare la ‘sindrome del cane parlante’ – ‘guarda, è una donna, sa parlare, fa campagna elettorale!’ Per fortuna questo è successo, ma anche le candidate attuali sono in parte vittime dello stesso doppiopesismo che è stato rivolto a me: abbiamo fatto dei progressi ma la strada è ancora lunga». Anche discutendo dell’imminente campagna elettorale per la presidenza Clinton rivolge lo sguardo al passato, alla sua esperienza contro Trump, in particolare nei dibattiti pubblici in cui si sono confrontati: «Ho vinto tutti e tre i dibattiti, che però non hanno avuto l’impatto sul voto che un tempo i dibattiti avevano. In parte questo è dovuto al contesto in cui hanno avuto luogo, e a ciò che è accaduto dopo che sono finiti: l’influenza esercitata sulla campagna da Wikileaks, dall’intervento russo, dal comportamento del direttore Comey (l’ex capo dell’Fbi che ha aperto l’indagine su di lei in piena campagna elettorale per la vicenda delle email, ndr). Tutto questo ha avuto un forte impatto sul risultato. E i dibattiti restano una questione aperta nella nostra vita politica attuale: devono porre domande difficili ed esigere risposte, che era una cosa molto difficile da fare con il mio ex avversario. Non so cosa accadrà nelle imminenti elezioni: non è neanche scontato che Trump parteciperà ai dibattiti».

LA CAMPAGNA elettorale e il modo di governare dell’attuale Presidente degli Usa, aggiunge Clinton quando le viene chiesto se l’elezione di Trump abbia influenzato l’ascesa di leader autoritari come Bolsonaro, «ha senz’altro incoraggiato uno stile politico fondato sull’individuazione di bersagli, nemici. Come i migranti, chi pratica un’altra religione, gli omosessuali…. Molti leader seguono questo modello, penso che sia una grande minaccia per la nostra democrazia. L’attuale presidente ha molta ammirazione per i leader autoritari, specialmente quelli di destra, che esercitano il potere senza rendere conto a nessuno».

ALL’INDOMANI del verdetto sul processo ad Harvey Weinstein, Clinton viene ancora una volta interpellata sulle donazioni alla sua campagna del produttore cinematografico condannato per violenza sessuale: «Weinstein ha contribuito a tutte le campagne democratiche: quella di Barack Obama, John Kerry, Al Gore… Non so se questo dovrebbe scoraggiare chicchessia dal contribuire a delle campagne politiche, ma certamente dovrebbe mettere fine al tipo di comportamento per il quale è stato condannato. Credo che il verdetto non abbia bisogno di ulteriori commenti: è ovviamente un argomento che la gente ha seguito e a cui si é interessata perché era ora che venissero date delle responsabilità. La giuria ha chiaramente stabilito questo».

SU JULIAN ASSANGE sceglie invece di non dire nulla: «Ho una mia opinione personale, ma al momento è in corso un processo a Londra per decidere della sua estradizione negli Stati Uniti.Non farò commenti in merito finché non si sarà concluso». Nonostante la sconfitta politica, a chi le chiede dell’eredità che le piacerebbe lasciare nella vita pubblica statunitense Clinton risponde che non ha nessuna intenzione di fermarsi: «Non sono a un punto della mia vita in cui rivolgo lo sguardo al passato, guardo sempre avanti: c’è ancora tanto da fare. Non pensò alla mia eredità ma piuttosto a come dare l’assistenza sanitaria a tutti gli americani, combattere il cambiamento climatico, sconfiggere Donald Trump».