«Chiediamo oggi quello che chiedevamo quattro anni fa: giustizia». È lapidaria Mariana Fodoulian, presidente dell’associazione «Familiari delle vittime» dell’esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020.

Tra le 235 vittime accertate c’era anche la sorella Gaia di 29 anni. 7mila i feriti, 300mila gli sfollati, mezza città sommersa dai pezzi di vetro della finestre esplose, da calcinacci e polvere. Alle 18.08, si sentono due boati, poi il fungo al porto.

LE 2.750 TONNELLATE di nitrato di ammonio, stoccate dal 2014 nell’hangar 12 del porto di Beirut, causano una delle più potenti esplosioni non nucleari della storia dell’umanità. Tutti avevano creduto a un attacco aereo e lo stesso presidente Aoun aveva nelle primissime ore parlato di un probabile bombardamento israeliano.

Dalle parole di Fodoulian viene fuori il racconto dell’ennesimo tentativo di insabbiamento e di ingiustizia perpetrata ai danni di innocenti. Il vecchio procuratore generale Ghassan Oueidat, dopo essere stato convocato dal giudice Bitar (il terzo dall’inizio del processo, ndr) come persona informata dei fatti, ha dato l’ordine di rilasciare tutte le persone fermate da Bitar, interferendo nei fatti nello svolgimento delle indagini. A febbraio, per limiti di età, è stato sostituito da Jamal Hajjar.

«C’è un tentativo di deviare il processo già difficile – dice al manifesto Fodoulian – Ouiedat ha rilasciato tutti e ha praticamente bloccato il processo. Chiediamo adesso al nuovo procuratore Jamal Hajjar di ritornare sulle decisioni del suo predecessore che noi e i nostri avvocati riteniamo illegali e di lasciar lavorare Bitar».

SONO INTANTO ORE molto complicate in Libano e nella regione intera. Il bombardamento martedì sera alla periferia a sud di Beirut, la Dahieh, roccaforte di Hezbollah, nel quale ha perso la vita il numero due della milizia/partito Fuad Shukr e altri cinque civili (un centinaio i feriti), poco prima dell’uccisione a Tehran del capo politico di Hamas Haniyeh, ha alzato il livello dello scontro tra Israele e il Partito di Dio, nonché quello con l’Iran e l’«Asse della resistenza».

L’attacco a Beirut è stato rivendicato dal premier israeliano Netanyahu come una reazione al missile che ha ucciso 12 tra bambini e ragazzi a Majdel Shams nel Golan occupato attribuito a Hezbollah, che però nega dal primo momento ogni coinvolgimento.

Si attendono ora tanto la risposta di Hezbollah quanto quella dell’Iran: da queste e dalla controffensiva di Israele dipende l’allargamento del conflitto alla regione e il coinvolgimento anche militare di attori regionali e internazionali. Sul fronte libanese, attivo dall’8 ottobre, vorrebbe dire allargare la guerra a tutto il paese e non più alle zone sotto in controllo di Hezbollah come il sud e l’est.

Secondo i media arabi e la Cnn, Hezbollah ha spostato parte del suo arsenale da Beirut verso sud per preparare l’annunciato attacco a Israele. Il leader Hassan Nasrallah terrà un discorso martedì alle 17 libanesi nel quale probabilmente chiarirà le intenzioni della milizia. Intanto continuano gli attacchi da una parte e dall’altra: ieri un ragazzo di 17 anni è morto in un bombardamento israeliano a Deir Sariane, nel sud del Libano, e altri sei ragazzi sono stati feriti.

HEZBOLLAH  ha fatto sapere di aver colpito delle basi militari a Metula e il villaggio di Shlomi; l’esercito israeliano ha bombardato Khiam, Kfar Kila, Aita el Shaab. Nel pomeriggio, un drone ha fatto saltare un veicolo sulla strada tra Damasco e Beirut all’altezza di Zabadani, in Siria. Un morto, non ancora identificato.

Ieri l’ambasciata svedese ha spostato i propri dipendenti a Cipro. Il capo della diplomazia britannica Lammy ha dichiarato: «Le tensioni sono elevate e la situazione potrebbe deteriorarsi rapidamente (…) Il mio messaggio per i cittadini britannici è chiaro: partite immediatamente». L’ambasciata degli Stati uniti ha aumentato il livello di allerta e ha pubblicato un nuovo comunicato nel quale invita i propri concittadini a lasciare il paese. Tutti invitano all’estrema prudenza.

LE COMPAGNIE aeree hanno ridotto i voli da e per l’unico aeroporto libanese che, se bombardato, isolerebbe completamente il paese. L’unica alternativa di terra sarebbe attraverso la Siria, paese ancora instabile per la lunga guerra civile e sotto tiro israeliano. Non ci sono collegamenti via mare, se non commerciali, da ancor prima del 4 agosto 2020.

Il quarto anniversario della catastrofe annunciata – numerosi era stati gli appelli formali a rimuovere il nitrato d’ammonio dal porto – rischia di passare in secondo piano per lasciare il posto a un’altra possibile catastrofe imminente: la tanto temuta e scongiurata guerra totale in Medio Oriente.