Aggrappato al potere con le unghie e con i denti, Ariel Henry aveva dalla sua parte solo il sostegno degli Stati Uniti e dei loro alleati. Così, venuto meno il loro appoggio, all’inetto e odiatissimo primo ministro de facto non è rimasta altra scelta che rassegnare le dimissioni. «Nessun sacrificio è troppo grande per il nostro paese», ha dichiarato da Porto Rico – dove si trova tuttora in attesa di recarsi negli Usa, che gli hanno assicurato piena ospitalità – esprimendo dolore per la perdita di vite umane e rivolgendo un appello alla calma.

Ma a darne notizia era già stato il presidente di turno della Comunità dei Caraibi (Caricom) Mohamed Irfaan Ali, nel corso della conferenza stampa che si è svolta lunedì al termine della riunione di urgenza convocata dall’organismo a Kingston, in Giamaica, sulla crisi haitiana, con rappresentanti degli Stati Uniti, della Francia, del Canada e delle Nazioni Unite: «Prendiamo atto delle dimissioni del premier», ha detto Irfaan Ali, annunciando un «accordo per un governo provvisorio che aprirà la strada a una transizione pacifica del potere».

DOPO IL LUNGO E ABORTITO processo di transizione avviato dopo l’assassinio di Jovenel Moïse nel luglio del 2021 e l’assunzione del potere da parte di Henry – il quale si era impegnato a condurre il paese verso elezioni libere e trasparenti – ne ha inizio così uno nuovo, con la creazione, come ha affermato il segretario di stato Usa Antony Blinken, «di un consiglio presidenziale indipendente, ampio e inclusivo, in grado di muovere passi concreti per soddisfare le necessità immediate del popolo haitiano», di permettere «il rapido dispiegamento della Missione multinazionale di appoggio alla sicurezza» approvato a ottobre dalle Nazioni Unite e, infine, di garantire «le condizioni di sicurezza necessarie per celebrare elezioni libere e giuste e far arrivare l’aiuto umanitario».

Sarà il consiglio presidenziale, costituito da sette membri votanti in rappresentanza di diversi settori politici e sociali del paese e da due osservatori (provenienti dalla società civile e dal settore religioso) a procedere alla nomina del nuovo primo ministro ad interim. E non ne potranno far parte persone indagate o oggetto di sanzioni da parte della comunità internazionale né chi vorrà candidarsi alle prossime elezioni.

E neppure – un punto sicuramente controverso – chi si oppone alla risoluzione dell’Onu a favore della missione multinazionale di sicurezza, per la quale Blinken ha promesso un contributo di 300 milioni di dollari, oltre a «33 milioni di dollari aggiuntivi per gli aiuti umanitari».

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«TUTTI SAPPIAMO che solo gli haitiani possono determinare il proprio futuro. Ma tutti qui possiamo aiutare», ha concluso Blinken, ignorando volutamente il fatto che la popolazione haitiana non abbia in realtà mai avuto alcuna voce in capitolo sulla costruzione del proprio futuro (e quando ci ha provato, con l’elezione nel 1991 di Jean-Bertrand Aristide, ex sacerdote salesiano schierato all’epoca su posizioni antioligarchiche e anti-imperialiste, è finita come è finita).

Di certo, se l’obiettivo è quello di aiutare la società haitiana, dopo almeno tre anni di caos e di violenze inaudite, a riconciliarsi con se stessa, non sarà una nuova occupazione straniera a garantirlo. Tanto meno una missione che è già nata con il piede sbagliato: non a caso, malgrado la crescente pressione internazionale, nessun annuncio è ancora arrivato riguardo a un suo imminente dispiegamento.

SUL FRONTE DELLA SICUREZZA, intanto, la strada appare decisamente in salita. Malgrado qualche timido segnale di un apparente ritorno alla calma, è difficile che il nuovo accordo – contro cui si è già pronunciato il capo delle bande criminali Jimmy Chérizier, impegnato a suo dire in una «rivoluzione sanguinosa» – sia sufficiente a ristabilire l’ordine e a recuperare il controllo della situazione. E mentre le scuole e i servizi pubblici di Port-au-Prince rimangono chiusi, come pure l’aeroporto Guy Malary e il porto più grande del paese, gestito dall’Autorité Portuaire Nationale, il rischio di interruzione del rifornimento di cibo, medicine e altri beni di prima necessità appare sempre più reale.