L’Harlem Renaissance è stato il primo movimento di artisti di origine africana negli Usa, già emerso negli anni ’20 e che è entrato concretamente a far parte dell’Arte Moderna Internazionale. Proprio «The Met» – il Metropolitan Museum of Art di New York – si è impegnato a raccogliere e mostrare i lavori che, dal 25 febbraio (fino al 28 luglio), fanno parte della mostra The Harlem Renaissance and Transatlatic Moderism. Con più di 160 lavori, la mostra esplora i tanti modi in cui questi artisti di colore hanno raccontato la vita moderna di ogni giorno nei contesti delle nuove città nere che avevano preso forma tra gli anni ’20 e gli anni ’40. Era Harlem di New York e anche il South Side di Chicago. E quindi poi tutte le altre grandi città a livello federale, da Los Angeles a New York. Erano gli anni della Grande Migrazione, quando migliaia, addirittura milioni di neri cominciarono a spostarsi (coraggiosamente!) dalla segregazione delle campagne del Sud per incontrare e conoscere altre realtà urbane. Al Metropolitan era stata organizzata la prima mostra riguardo questi temi proprio con quella mostra storica del 1987, che aveva raccontato per prima il vero rinascimento nero all’interno dell’arte moderna, addirittura prima della Seconda Guerra Mondiale. Molte delle opere presenti, che siano dipinti, statue, lavori su carta o fotografie, arrivano direttamente dalle collezioni dell’Università di Atlanta e da altri musei interessati.

Oggi più che mai è importante raccontare la cultura afroamericana, come fanno anche lo Smithsonian American Art Museum o il National Portrait Gallery di Washington. La mostra racconta, attraverso ritratti coraggiosi e scene di città, dei grandi movimenti di protesta e attivismo, di vita notturne, di musica, di feste e ritrovi, di club per suonare e ballare. Come nel quadro di Archibald J. Motley, Jr. (nato a New Orleans), dove si balla, si suona il sax e si fuma. Sono le donne ingioiellate, sono i dipinti di William Hanry Johnson che, all’inizio degli anni Quaranta raffigura un uomo con in braccio una donna circondato da strumenti musicali che – si ipotizza – stiano suonando. O anche il manifesto che dice semplicemente Harlem, Mecca of the Negro (March 1925). La mostra apre uno sguardo essenziale sul ruolo della rinascita di Harlem con i suoi nuovi modelli per raffigurare un soggetto nero, appassionato e pronto a sviluppare un’arte totalmente nuova. La mostra ha aperto gallerie del museo che hanno voluto esplorare la ferma filosofia culturale che è riuscita a creare il movimento artistico e letterario del movimento del New Negro.

I fondamenti di questa nuova cultura sono al centro di questa mostra, e ci sono qui tutti quegli artisti neri che hanno condiviso l’impegno di rappresentare il moderno soggetto nero in un modo radicalmente nuovo, rifiutando gli stereotipi razzisti prevalenti che ormai oggi risultano essere sempre più antichi e spesso incastrati in un passato inutile e giustamente privo di senso. Del resto, che dire, a volte queste mostre dovrebbero essere studiate e capite ovunque, anche nel nostro stivaletto europeo. Chissà mai che qualche politico nostrano avesse voglia di farsi un giro di ballo…

Sebbene accomunati dal bisogno di condividere tutti gli aspetti della vita moderna del New Negro, gli artisti hanno creato molte e diverse rappresentazioni stilistiche, dal modello estetico africano ed egiziano, fino ad arrivare alle strategie pittoriche avant-garde europee con un impegno verso la tradizione accademica classicizzata.

La mostra si sposta attraverso le città che si concentrano su ritratti che raccontano la Black City in quegli anni, attraverso statue, dipinti, fotografie, e anche la proiezione di film e l’esposizione di illustrazioni e disegni per libri e per riviste.

Le sale con dipinti e opere degli artisti New Negro che avevano vissuto e lavorato in Europa durante lunghi periodi, presentano i loro lavori in diretta giustapposizione con le immagini che raccontano la diaspora africana internazionale da parte di artisti Europei sia bianchi che neri, compreso anche Matisse, Munch, Picasso, e anche gli scultori Jacob Epstein e Ronald Moody. Mentre si preparava la mostra, il museo ha fatto grande ricerca negli archivi, per fotografie, immagini tecnologiche e, soprattutto la conservazione di opere d’arte importanti difficilmente o raramente viste.

L’era del New Negro ha indagato su problemi civili, tensioni di classe, relazioni interrazziali che sono proprio i temi affrontati dai dipinti, dalle fotografie e dai pezzi di filmati. La mostra si conclude con un ‘capitolo’ artist-as-activism, che evidenzia il comportamento dell’artista su temi di giustizia sociale, come l’era del New Negro che si conclude al culmine del movimento per i diritti civili degli anni ’50.

Al centro della mostra ci sono gli artisti che hanno condiviso l’impegno di rappresentare il moderno soggetto nero in un modo radicalmente moderno. La mostra è accompagnata da un podcast di 5 episodi, il primo dei quali creato proprio da ‘The Met’. Focalizzando anche su musica, letteratura e arte di quel momento, la mostra trova narrazioni che per molto tempo sono rimaste inascoltate. Importanti e toccanti quei ritratti di persone di colore della vecchia Harlem, a volte quasi intimiditi, ma orgogliosamente vestiti con cravatta e giacca lui, e tacchi, vestito e guanti rossi lei. Sono tutti coloro che stavano, in quel momento, ancora aspettando di conquistare il Civil Right Act che nel 1964, come legge federale, riuscirà a dichiarava illegale le diversità di registrazione per le elezioni e la segregazione razziale nelle scuole, sul lavoro e nelle strutture pubbliche. Del resto, solo poco dopo, a New Orleans (era il 1960) Ruby Bridges di sei anni, avrebbe fatto le scale della scuola elementare William Frantz, accompagnata da quattro agenti federali che avrebbero garantito la sua presenza in classe e proteggerla da tutte quelle persone (bianche) che impedivano che entrasse a scuola. The Harlem Renaissance dovrebbe essere centrale su come oggi pensiamo essere il periodo Modernista. Dovrebbe anche essere essenziale su come si definisce non solo l’essere African American, ma soprattutto su come ci si definisce Americani.

Questa è una grande mostra sull’arte nera, la prima da quando era stata organizzata a New York Art of Black America, dallo Studio Museum nel 1987. Allora si era offerto uno sguardo raro e completo su come i creatori neri rappresentavano la trama della vita nera nell’America dell’inizio del XX secolo.

Dai paesaggi urbani ai ritratti, fino alla vita notturna del jazz, agli anziani, questa mostra offre ai neri americani la libertà di raccontare finalmente le proprie storie. Alcuni degli artisti inclusi, sia quelli che erano andati a Parigi che quelli che non si erano mossi, avevano risposto così alle avanguardie europee. Altri invece, anche molto capaci, erano stati coinvolti solo nelle rappresentazioni, ma sono stati comunque sempre presenti e impegnati nel movimento moderno anche in verione black