Mentre scrivevamo ieri sera non era chiaro se ci fosse anche Fuad Shukr, noto anche come Haj Mohsen, il capo di stato maggiore di Hezbollah, tra i due morti dell’attacco compiuto da un drone israeliano contro un edificio di Haret Hreik, un quartiere di Dahiye, la zona meridionale di Beirut roccaforte del movimento sciita libanese. Si attendeva una conferma dai vertici di Hezbollah. In ogni caso Israele, intenzionato a vendicare l’attacco a Majdal Shams, sulle Alture siriane del Golan che occupa dal 1967, ha voluto dimostrare di essere capace di colpire ai livelli più alti della struttura di comando di Hezbollah grazie alle informazioni precise che riceve dalla sua ampia rete di spionaggio in Libano. Fuad Shukr, consigliere militare del leader Hassan Nasrallah, infatti fa parte anche del Consiglio esecutivo di Hezbollah, il massimo organo politico e militare dell’organizzazione alleata dell’Iran. È ricercato anche dagli Stati uniti – sulla sua testa c’è una taglia di 5 milioni di dollari – poiché, secondo il Dipartimento di stato, avrebbe avuto un “ruolo centrale” nell’attacco del 1983 ad una base Usa in Libano in cui morirono 241 soldati americani. Proprio Washington afferma di voler fare il possibile per evitare una guerra totale tra Israele ed Hezbollah, ma pochi credono che la leadership del movimento sciita, di fronte alla probabile uccisione di Shukr, si limiterà a una risposta limitata lungo il confine e al lancio di qualche razzo verso l’Alta Galilea, come è avvenuto dopo il 7 ottobre.

Hezbollah si sente chiamato a rispondere con forza alla seconda violazione in pochi mesi della periferia sud di Beirut sotto il suo pieno controllo. A inizio anno, sempre un drone israeliano aveva ucciso in quella zona, Saleh Aruri, uno degli esponenti più importanti di Hamas che si credeva al sicuro a sud di Beirut. Invece quella parte della capitale, dove pure Hezbollah attua rigidissime misure di controllo e sicurezza si è dimostrata di nuovo non impenetrabile. Haret Hreik, dove vive anche una sostanziosa comunità cristiana maronita assieme a sciiti e sunniti, un tempo era un villaggio agricolo poi, assieme all’intera Dahiye, perse la sua identità per le ondate di palestinesi espulsi dalla loro terra e di rifugiati provenienti da altri Stati della regione. In quell’area si trovano i campi palestinesi sorti dopo il 1948 e vivono migliaia di rifugiati siriani, oltre a migranti e diseredati che non possono permettersi l’elevato costo della vita dei quartieri più centrali della capitale libanese.

Ad Haret Hreik si trova il quartier generale di Hezbollah, la sua televisione (Manar) e altri uffici e strutture dell’organizzazione. Raso al suolo nel 2006 nei primi giorni della seconda guerra del Libano combattuta da Israele e il movimento sciita – la prima con nel 1982 vide l’invasione israeliana del Libano per cacciare l’Olp di Yasser Arafat – il quartiere è stato ricostruito con fondi in gran parte iraniani negli anni successivi alla tregua sancita dall’Onu. E Teheran, stretta alleata di Hezbollah, mantiene ad Haret Hreik una significativa ma «invisibile» presenza di uomini della sua Guardia rivoluzionaria che si sentono più protetti alla periferia sud di Beirut che a Damasco, obiettivo frequente dei raid aerei israeliani. L’attacco di ieri ha probabilmente modificato questa percezione.

Haret Hreik è anche strategico per la sua vicinanza all’aeroporto internazionale Rafik Hariri di Beirut, di fatto sotto il controllo di sicurezza di Hezbollah. Ma il quartiere è anche un punto di riferimento culturale per la parte più povera di Beirut. Non è solo una roccaforte politica e militare di Hezbollah. Ospita ad esempio l’Umam Documentation & Research, una associazione che gestisce un vasto archivio sulla storia del Libano e uno spazio per le arti contemporanee, oltre a tre biblioteche.