Mentre i servizi d’emergenza libanesi stanno ancora scavando sotto le macerie del palazzo colpito da un drone israeliano alla periferia meridionale di Beirut, dal mondo sono arrivate le prime reazioni.

Prudenti gli Usa che tramite la portavoce della Casa bianca, Karine Jean-Pierre, hanno dichiarato che «la guerra totale tra Israele e Libano si può ancora evitare» senza menzionare mai l’attacco di Tel Aviv. Poco dopo la Cnn ha rivelato, citando una fonte anonima, che il governo di Netanyahu aveva informato Washington in anticipo. La fonte della tv statunitense ha aggiunto che l’informazione è stata scambiata a livello degli apparati di sicurezza, ma non ha specificato quando sarebbe avvenuto lo scambio. Più perentoria la Russia, che dal ministero degli Esteri ha denunciato «un attacco che è una palese violazione del diritto internazionale».

TRA I PRIMI a prendere parola anche i rappresentanti italiani. La premier Meloni, da Pechino, si è detta «molto preoccupata per ciò che sta accadendo in Libano, per il rischio di un’escalation regionale, proprio mentre sembrava che ci potessero essere degli spiragli». Meloni ha anche dichiarato che la responsabilità è di quei «diversi soggetti regionali che puntano a un’escalation e che puntano sempre a costringere Israele a una reazione, lo dico anche per invitare Israele a non cadere in questa trappola». Da Roma, il ministro degli Esteri Tajani si è limitato a «sperare che sia soltanto una reazione di Israele e che non ci sia una escalation». Inoltre, data la presenza della missione Unifil nel sud del Paese che è guidata dai militari italiani, Tajani ha anche aggiunto che «i soldati italiani presenti in Libano sono messi in sicurezza ma come ho chiesto al ministro della Difesa, Guido Crosetto, vogliamo sapere dalle Nazioni unite che regole di ingaggio dare visto che la situazione sta cambiando di giorno in giorno».

Hamas e l’Iran hanno invece condannato subito il raid israeliano definendolo una «pericolosa escalation» e una «palese violazione» della sovranità del Libano.

PRIMA DELL’ATTACCO il governo britannico aveva deciso di ritirare la proposta di legge che ponesse l’embargo sull’esportazione di alcune armi a Israele, dato il conflitto in corso a Gaza. Ora invece, in seguito al razzo caduto sulle alture del Golan che ha ucciso 13 bambini in un campo da calcio e determinato la promessa di una reazione da parte di Israele, Londra ha cambiato idea. In una dichiarazione ai parlamentari britannici, il ministro degli Esteri, David Lammy, ha detto: «Sosteniamo il diritto di Israele a difendersi in linea con il diritto umanitario internazionale. Si trova in un momento difficile, minacciato da coloro che vogliono annientarlo». Lammy ha dichiarato che in termini di sospensione delle vendite vuole fare una distinzione tra le armi utilizzate da Israele per la guerra a Gaza e quelle utilizzate a scopo difensivo. Ma questa distinzione si sta rivelando più difficile da tracciare nella legge, oltre che politicamente impegnativa.