È stata la giovane in fiamme del bel film di Céline Sciamma, ha girato con Bertrand Bonello, André Techiné, i fratelli Dardenne, solo per citarne alcuni. Volto rigoroso del cinema francese d’autore, due volte premio César, Adèle Haenel fino a domani è protagonista alla Triennale di Milano di L’Etang, la nuova creazione di Gisèle Vienne, regista franco-austriaca tra le più perturbanti della scena europea. Da un testo dello svizzero Robert Walser, un lavoro su violenza e famiglia.

Com’è nata la collaborazione con Gisèle Vienne?

Una scena de «L’Etang,» foto di Estelle Hanania

L’ho incontrata a un workshop e mi è piaciuto subito il suo modo di lavorare, quello che cerca nell’arte e nella sua forma. Sta inventando un linguaggio, un sistema di segni. Cerca di spostare la nostra percezione. La pièce parte da un testo di Robert Walser su un ragazzo che finge di suicidarsi per capire se sua madre lo ama. Su questa base abbiamo lavorato con Gisèle, con la coprotagonista Henrietta Wallberg e con gli ideatori del suono e delle luci per creare un nuovo tipo di linguaggio, e spostare il focus della pièce sulla violenza che può nascondersi all’interno della famiglia. Una violenza con cui puoi cancellare chi hai davanti.

In scena compaiono fantocci, come spesso nei lavori di Vienne.

Rappresentano il punto estremo di una disumanizzazione che può essere anche dell’essere umano. Io interpreto un personaggio diviso in molte personalità: è anche uno spettacolo sulla dissociazione. E esplora l’adolescenza, che è il momento in cui si hanno tanti motivi di indignazione, e scopri la mistificazione. In famiglia, capisci che l’amore e il rispetto, i valori con cui sei cresciuto durante l’infanzia, in realtà sono un gioco di potere.

Lei in adolescenza ha subito abusi dal primo regista con cui ha lavorato, che ha poi denunciato.

L’abuso sessuale è un problema sistemico, nel cinema c’era necessità di denunciarlo. Il sistema capitalistico è sessista e razzista, e noi dobbiamo combatterlo, non è più un’opzione. Io combatto perché ogni vita sia realmente uguale. All’inizio non volevo denunciare: non credo nella giustizia, anch’essa è parte del sistema patriarcale. La legge è stata scritta per proteggere il capitale e dunque la borghesia, i maschi bianchi che l’hanno scritta. Avevo ragione, non è la soluzione. Non possiamo affidarci a chi ci domina per darci potere, perché non ce lo daranno. Oggi sono molto più coinvolta nella lotta non solo femminista, ma anche contro il razzismo e il capitalismo. Perché è tutto un unico sistema iniquo, che porta solo distruzione e violenza. E la lotta deve essere collettiva. L’unica arma è la mobilitazione globale.

Ma il suo campo, il cinema, è un’industria. Non si sente in contraddizione?

Ho smesso con il cinema.

Ha smesso? Del tutto?

Una scena de «L’Etang» foto di Estelle Hanania

Non lavorerò più con registi affermati, ma solo con artisti nuovi, agli esordi. L’unica con cui potrei farlo è Celine Sciamma perché il nostro rapporto va al di là di quello solo lavorativo, ma dovrà essere in un altro sistema economico. E non si tratta di scegliere in base al soggetto, al tema. Si tratta di ridefinire la realtà, di mettere in discussione la nostra percezione, come fa Gisèle. Forma e significato coincidono.

Un cinema nuovo è possibile?

Abbiamo moltissimi artisti che vogliono fare cinema in un altro modo, in un’altra economia, con un altro tipo di rappresentazione, con altri corpi. Di questo cinema potrei far parte, se succederà. E ci sono film interessanti, come A Night of Knowing Nothing di Payal Kapadia, o Nous di Alice Diop. Ma nell’industria cinematografica com’è adesso non c’è speranza. Lo vediamo con le donne, ne usano una o due per nascondere la nudità propria del sistema oppressivo, basta guardare la selezione di Cannes. Così dicono di combattere il sessismo, ma in realtà non è cambiato niente. Chi ha il potere continua a opprimerci. Premiano ancora degli stupratori, e vogliono che io me ne stia zitta? No, mai.

Intende Polanski? Quando lo hanno premiato ai César 2020 lei ha abbandonato la sala.

Sì, Polanski, tra gli altri. Ma è una pratica diffusa tra i potenti. Perché possono farlo, possono esprimere le loro pulsioni per cancellare altri corpi.

Che cosa farà adesso?

Farò teatro, mi voglio dedicare a progetti come quello di Gisèle, che sono una forma di ricerca teorica. La maggior parte delle mie energie ora è rivolta ad ascoltare e aiutare le vittime di abusi sociali. Ma amo l’arte, credo davvero che sia importante come esperienza collettiva. Resta uno dei centri della mia vita. L’altro è la politica, che oggi è un’urgenza, una questione di vita o di morte. Meglio che Le Pen non abbia vinto, ma penso che Macron stia esasperando la questione del razzismo per dividere la classe dei lavoratori e indebolirla. E che sia una persona autoritaria, lo si vede dall’uso violento della polizia che fa contro i dimostranti, che è intollerabile. Stanno cercando di ridurre la discussione a un monologo del dominante. Ma la contestazione in Francia oggi è molto forte, ed è l’unica cosa che può portare al cambiamento.