A tre mesi dall’incendio della casa famiglia Hogar Seguro, in Guatemala, una coltre di impunità copre ancora i principali responsabili politici della morte di 41 minorenni, che da mesi subivano sevizie innominabili. Le 15 sopravvissute (poi rimaste in 14 perché una di loro è stata uccisa al suo ritorno a casa) hanno deposto in videconferenza sull’accaduto. Per protestare contro le condizioni inumane in cui venivano tenute, 56 ragazze (su circa 800 minorenni che si trovavano nel rifugio-lager) hanno inscenato una protesta bruciando i materassi:

“Venite a violentarci di nuovo, qui, davanti a tutti”, gridavano, ma sono state chiuse a chiave e lasciate morire. Le testimonianze delle sopravvissute sono agghiaccianti. Il giudice Carlos Guerra ha stabilito che i tre detenuti – Carlos Rodas, Anahy Keller e Santos Torres – possono avere gli arresti domiciliari se pagano una cauzione. La Procura contro il Femminicidio, incaricata del caso, ha fatto appello.

L’8 marzo, le femministe di Ni una Menos hanno protestato contro “il femminicidio di Stato” e le ragazze bruciate sono state ricordate in tutto il mondo. Oggi, molti giornali hanno aderito alla campagna Acción global por la niñas #NosDuelen56 (nosduelen56@yahoo.com). Come contributo alla lotta per la memoria e la giustizia, diversi artisti del Guatemala, del Messico e della Spagna hanno disegnato i volti delle 41 ragazze uccise, invitando chiunque lo desideri a stampare le immagini e a incollarle ai muri, o a esporle nei propri spazi politici e culturali.

Scrivono Quimy De Léon (Direttora di Prensa Comunitaria, Guatemala) e Gloria Muñoz Ramirez (Direttora di Desinformémonos, Messico): “Questo femminicidio è un crimine di Stato dietro al quale c’è una struttura criminale sofisticata che ha tentato di mettere a tacere la denuncia delle bambine di gravi crimini come tortura, tratta di esseri umani, violenze sessuali, sparizione forzata, tra gli altri crimini. Dall’8 marzo scorso, giorno in cui è avvenuto l’incendio delle bambine, con il nostro lavoro, il nostro giornalismo, abbiamo cercato di mantenere la dimensione umana delle bambine e delle loro famiglie”.