Piazza Vittoria, a Gorizia, fino al 1918 si chiamava Piazza Grande, Travnik (prato) in sloveno perché per decenni era stata un grande spiazzo erboso. Nel ‘700, mentre Gorizia cresceva in abitanti e ricchezza, diventò un’elegante piazza contornata da bei palazzi e da una chiesa barocca con due torri campanarie. Palazzo Paternolli stava là, proprio di fronte alla chiesa di Sant’Ignazio ed era sede della rinomata casa editrice, tipografia e libreria di proprietà della famiglia Paternolli, che nella seconda metà dell’Ottocento si era imposta come una delle istituzioni più rilevanti della cultura goriziana, responsabile della stampa di vasta parte dei periodici locali in tedesco, italiano e sloveno.

NELLA SOFFITTA di questo edificio, con le finestre rettangolari che guardano da una parte la piazza e dall’altra il castello, il poeta e filosofo Carlo Michelstaedter era solito ritrovarsi con gli amici Nino Paternolli ed Enrico Mreule, suoi inseparabili compagni di studio, di avventure e riflessioni, ma anche protagonisti (Nino e Rino) de Il dialogo della salute, scritto nelle sue ultime settimane di vita. «Quanta pace c’è lassù che non c’è altrove, che non c’è nel mio animo che va colla testa bassa» scrisse e qui realizzò la sua tesi di laurea La persuasione e la retorica che lo rese famoso. In un’altra soffitta poco lontano, nella casa paterna, Carlo Michelstaedter si uccise il 17 ottobre 1910, a 23 anni. La sua tomba, oggi, è in territorio sloveno.

Sulla famiglia Paternolli e su tutto il palazzo calò un velo di tristezza ma non era finita. La prima guerra mondiale squassò Gorizia, i bombardamenti italiani continuarono a dilaniarla. Il 20 novembre 1915 Palazzo Paternolli fu centrato da un proiettile da 28 cm che aprì una voragine nella facciata. In una città che alla fine della guerra contava meno della metà degli abitanti originari, fu un poco risistemato, la tipografia trasferita al Trgovski Dom, ma non smise di essere cenacolo di intellettuali e fucina di nuove elaborazioni culturali e di attività politica. Si ragionava sul futuro di Gorizia, adesso italiana ma con secoli di mitteleuropa e di convivenza italo-slovena alle spalle.

IL 1921 FU UN ANNO importante, un punto di svolta: la libreria di Paternolli raccoglieva il fior fiore dell’intellighenzia italiana e slovena, si organizzavano convegni, si stampavano libri, si cercava un rapporto con le masse operaie in lotta: memorabile la lettura di Dante agli operai che fece il poeta Biagio Marin alla Camera del Lavoro in occasione delle celebrazioni dantesche. Poi, l’edizione di un libro su Dante in sloveno, con saggi di Croce Salvemini Zupančič Kos e illustrazioni e incisioni di grandissima qualità per onorare un poeta ritenuto così importante da superare i confini di un solo paese e di una sola lingua, pubblicato poi in italiano nel 1923 dallo stesso Nino Paternolli.

Gorizia/Gorica/Görz era nata e restava multietnica, soprattutto slovena perché questa era la maggioranza di chi abitava in particolare il circondario. Nel settembre del 1921 le prime elezioni politiche: Gorizia manda al Parlamento quattro sloveni della Concentrazione Slava e Giuseppe Tuntar, tra i fondatori del partito comunista, figura di spicco del movimento operaio di tutta la regione, il primo deputato italiano dell’isontino. È uno scandalo, la conquista della città «italiana» era costata una guerra, quelle elezioni sono uno schiaffo intollerabile alla narrazione nazionalista italiana.

Elezioni comunali pochi mesi dopo: la lista di popolari fascisti e liberali prende la maggioranza dei voti ma non bastano, la lista dei socialisti moderati (tra cui Nino Paternolli) si allea con la lista slovena Podgornik, i loro voti sono ben più del doppio di quelli dati alla destra, e si forma la nuova Giunta: italiani e sloveni assieme. Il nuovo sindaco è Antonio Bonne, giudice del Tribunale, la destra è scandalizzata, i fascisti passano dalle parole ai fatti. Il 28 ottobre, mentre per le strade di Roma sfila la marcia di camicie nere, i fascisti locali assaltano il Municipio e cacciano sindaco e giunta.

IL 3 GENNAIO 1923 la provincia di Gorizia viene cancellata, smembrata tra Udine e Trieste, una provincia «con tanti slavi» non può esistere nel Regno d’Italia. Nino Paternolli muore in montagna a 35 anni in un grave incidente e dopo qualche anno il Palazzo viene venduto e diventa, per tutti, Casa Bombi dal nome dei nuovi proprietari.

DI QUESTA STORIA, del sindaco Antonio Bonne, non resta traccia, tutto dimenticato, cancellato anche dai documenti ma c’è la memoria militante di Dario Stasi. Stasi è l’autore di un libro davvero emozionante e importante, Storie di comunisti. Gli anni Sessanta e Settanta nel Pci a Gorizia, uscito nel 2019, che raccoglie personaggi ed episodi aiutando a riflettere sul peso della guerra fredda a Gorizia. Da anni Stasi dirige la bella rivista Isonzo-Soča giornale di frontiera ed è lì che ha pubblicato la storia di Palazzo Paternolli e di quel che vi gira intorno, facendo conoscere un nuovo tassello della storia particolare di queste terre.

CHE NE È, ORA, di Palazzo Paternolli? Per decenni abbandonato nel più completo degrado, molti avevano temuto per il suo futuro e sono state tante le iniziative, le petizioni, gli allarmi rimbalzati sulla stampa nazionale; anche sul manifesto ne scriveva Fabio Vander nel maggio 2017.

Venduto l’anno scorso al gruppo immobiliare Visconti di Milano, il palazzo ora è in fase di recupero; diventerà una casa dello studente, anche per gli universitari della slovena Nova Gorica che vuole incrementare i suoi corsi in area scientifica. Ci saranno ambienti per incontri, iniziative culturali, convegni e uno spazio museale Michelstaedter. Il bell’edifico ha dunque un futuro.

L’auspicio è che ridiventi un luogo dove la cultura apra nuovi dialoghi e che Paternolli non sia solo un nome ma un esempio.