Dopo tre giorni di «buio», è proprio il caso di dirlo vista la campagna abbonamenti, la nostra app è tornata sul Play Store per i dispositivi Android.

Un portavoce di Google ieri ha chiamato il manifesto scusandosi: «L’intervento era legato ad un nostro errore e abbiamo prontamente ripristinato la app. Ci scusiamo per l’inconveniente». Google spiega di avere «regole stringenti che definiscono quale contenuto è ammissibile su Play Store, a fronte delle quali rivediamo migliaia di app al giorno e interveniamo laddove necessario».

Qualcosa non ha funzionato né nei tempi, né nei modi. Lezione imparata per tutti (anche per noi) e abbonati su Android salvi. Il caso è chiuso, anche per alcuni sviluppatori che sui social si sono improvvisati giudici di app ed esperti di editoria digitale.

Ma la cosa ha fatto comunque scalpore sia dentro che fuori la Rete. Tutti, volenti o no, usiamo i servizi di Google e capire che si può sparire e ricomparire con un abracadabra è stato un colpo per molti.

Secondo Fulvio Sarzana, avvocato esperto di privacy intervistato da Alessandro Longo su Repubblica, «è saltato il bilanciamento di poteri che è alla base dello Stato di diritto. Il caso del manifesto è interessante perché Google si sta sostituendo all’autorità pubblica amministrativa nel verificare le caratteristiche di un giornale».

Non è escluso infatti che il nostro caso possa fare da apripista a regolazioni diverse delle attività delle piattaforme nei confronti di soggetti come la stampa che sono costituzionalmente protetti da ogni interferenza pubblica e privata. L’articolo 21 Cost. ad esempio proibisce a chiunque autorizzazioni e censure e consente sequestri della libera informazione solo alla magistratura (martedì 19 a Stampa romana si parlerà in un convegno anche di questo).

Il nostro rapporto con le piattaforme, che siano social, ipernegozi o motori di ricerca, deve essere rivisto alla luce delle modifiche comportamentali e reali che questi giganti (finora completamente autonomi) inducono nella cittadinanza e nel mercato.

Nell’attesa di nuove regole che inevitabilmente prima o poi arriveranno è perciò un invito in più a usare solo ciò che serve, a mettere più sabbia possibile negli ingranaggi dei Big Data, a informarsi direttamente alle fonti decentralizzate (carta e web) e non su scintillanti vetrine che promettono molto più di quello che possono effettivamente mantenere.