Ebrahim Golestan lo avevamo conosciuto un po’ più da vicino grazie al magnifico film di Mitra Farahani, A vendredi, Robinson (2022) in cui la regista iraniana – che ha anche partecipato insieme alla Cineteca di Bologna al restauro della sua opera – immaginava un incontro tra questi e JL Godard, entrambi figure che segnano passaggi fondamentali negli immaginari del loro tempo. L’incontro in realtà non avvenne, non in forma abituale almeno, i due nel film si parlano a distanza, con una corrispondenza mail che citando Robison Crusoe si dà appuntamento ogni venerdì. I temi sono l’arte, la filosofia, le immagini, la realtà e la messinscena, la scrittura, il senso della narrazione, il tempo; a unirli è la stessa autrice che tesse con pazienza e amore le traiettorie possibili di queste conversazioni.

Ebrahim Golestan si impunta, discute, il suo approccio narrativo del mondo e del reale è all’opposto di Godard. Fragile come lui, ogni tanto cede all’età, agli improvvisi malanni, alla stanchezza. Golestan è morto nel Sussex, a cent’anni, dove viveva, in una dimora molto bella come si vede nel film di Farahani e spesso piena di amici. Aveva lasciato l’Iran nel 1979 dopo la rivoluzione khomeinista per Londra, il suo nome a lungo è rimasto legato a quello della sua compagna, la poetessa e regista Forough Farrokhzad, morta nel 1967 in un incidente d’auto poco più che trentenne, regista di La casa nera (1962) sul lebbrosario a Tehran, che fece uno scandalo.

Golestan era nato nel 1922 a Shiraz, nel sud dell’Iran, nel 1957 aveva fondato il primo studio cinematografico iraniano indipendente col quale sosterrà la produzione dei film più importanti nella storia del cinema in Iran, permettendo la nascita di una nuova generazione di registi e di una Nouvella vague che senza di lui non avrebbe avuto mai spazio.
Ma non era solo un produttore: scrittore, traduttore letterario, Golestan è stato a sua volta anche regista di film molto innovativi rimasti a lungo poco conosciuti (e scoperti di recente anche in Italia grazie a una bella rassegna del Cinema ritrovato di Bologna) come Brick and Mirror (1963-1964) nel quale esplora la paura e il sentimento di responsabilità all’indomani del colpo di stato (è stato anche il primo film iraniano girato in presa diretta).

LE RIPRESE, iniziate nel 1963, con una troupe minima si erano interrotte per la rottura di una lente anamorfica, e mentre aspettavano quella nuova dalla Francia, esplosero le proteste contro l’arresto dell’ayatollah Khomeini, acuendo l’atmosfera claustrofobica di angoscia del film. Che uscì in sala nel 1966 ma ebbe poco successo – i critici lo accusarono di essere «pretenzioso».
Il cinema nella vita di Golestan era entrato presto, quando era ragazzino andava al cinema col padre che era il proprietario di un quotidiano. Anche se poi aveva scelto il giornalismo, approdando alla letteratura – autore di romanzi e traduttore di Hemingway e Mark Twain. Aveva realizzato anche servizi giornalistici per reti americane utilizzando l’esperienza fatta con la sua Bolex. Nel 1957 fonda appunto lo studio cinematografico – grazie ai finanziamenti di compagnie petrolifere occidentali – e invece di assumere professionisti già noti, decide di cercare giovani talenti ai quale insegnare i vari mestieri del cinema.

IL PICCOLO gruppo di appassionati comprendeva l’operatore Soleiman Minassian, l’attore/aiuto regista Zackaria Hashemi, il fonico Mahmood Hangval, Forough Farrokhzad, montatrice e talvolta attrice – suo il montaggio di A fire (1961) in cui Golestan filma lo spegnimento dell’incendio di un pozzo petrolifero trasformandolo in narrazione popolare. Il suo ultimo film The Ghost Valley’s Treasure Mysteries (1974) criticava con decisione la politica di modernizzazione dello scià Pahlavi.