Per dare un’idea dell’impatto del Covid-19 sul settore della cultura in Francia vanno ricordati due elementi. Il primo è economico. Tra spettacolo, eventi, musei, festival di cinema e teatro, ecc, l’insieme del comparto della cultura rappresenta più del 3% dell’economia francese, impiega circa 600mila persone e ne fa vivere almeno il doppio. I luoghi di spettacolo sono stati i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire. Le sale cinematografiche hanno potuto accogliere pubblico solo da lunedì scorso, mentre ci si siede nei café e i ristoranti dal 2 giugno. Il secondo è politico. Nonostante la sua forza, il comparto della cultura conosce da molti anni una crisi profonda. Tutta la cultura non commerciale, dalle sale cinematografiche fino alle librerie passando per il teatro è in difficoltà. Questo mondo complesso e articolato aspetta da anni un progetto all’altezza delle sfide attuali. È in questo quadro che il Covid-19 è arrivato, facendo esplodere alcune criticità.

Una gran parte delle sale d’art et d’essai è di proprietà pubblica. E per queste non c’è un pericolo immediato, ma il loro mantenimento pesa sulle casse dei comuni. Sarà dunque sul finanziamento delle amministrazioni locali che si giocherà il loro destino. Per quanto riguarda gli autori, il governo ha messo in campo un fondo specifico. Per gli intermittenti dello spettacolo (uno statuto particolare, centrale del modello francese, costantemente sotto attacco) esiste un fondo che garantisce fino a 1.500 euro al mese. Questo fondo sarà disponibile fino a fine anno, e l’inattività non peserà sul conto delle ore necessarie per mantenere l’accesso allo statuto. Per tutti coloro, e sono sempre di più, che lavorano senza statuto, come semplici indipendenti, gli aiuti versarti sono gli stessi erogati alle imprese, e sono in funzione di quanto si è dichiarato l’anno precedente.

L’insieme di questi strumenti garantisce in parte la sopravvivenza dei singoli. Ma da più parti si fa notare che il futuro resta incerto. Un collettivo di 800 artisti (il cui orientamento politico è assai vasto, dal reazionario Jean Dujardin alla progressista Jeanne Balibar) si è espresso con due tribune pubblicate dal quotidiano Le Monde per sollecitare una risposta di più ampio respiro.

È vero che, in questi mesi, il presidente della Repubblica si espresso attraverso alcuni monologhi a reti unificate, promettendo degli interventi senza entrare nel dettaglio. Questa vaghezza è tipica del linguaggio presidenziale; nella V repubblica, spetta al primo ministro di tradurre la volontà del presidente in azione. Ora, Eduard Philippe non ha annunciato nulla di concreto. Le industrie strategiche sono state finanziate con miliardi di euro.

Mentre sulla cultura, «la cui importanza non è solo economica ma anche spirituale – fa notare Jeanne Balibar in un’intervista al settimanale Les Inrockuptibles – abbiamo l’impressione di un impegno poco convinto». Anche perché non basta finanziare. Per la cultura, c’è bisogno di idee. E di queste, per il momento, non si vede l’ombra.